Mercati all’incirca invariati questa settimana, dopo l’uscita degli investitori da gran parte delle posizioni tattiche più affollate. Segnali conflittuali tra indebolimento di breve termine nella manifattura e robustezza di medio termine della crescita globale.
Le incertezze restano negli ambiti già noti: l’onere dei debiti sovrani in alcuni paesi dell’Unione monetaria europea resta oltre ragionevoli probabilità di riparazione, e dovrà verosimilmente essere trattato attraverso ristrutturazioni o cancellazioni. Resta incertezza sui tempi di questi eventi, in attesa che le parti interessate (il sistema finanziario, in particolare) si preparino all’evento, attutendone l’impatto.
La politica monetaria, sia nei paesi sviluppati che in quelli emergenti, resta ancora molto lasca e necessiterà, prima o poi, di essere normalizzata. Anche in questo caso, la tempistica resta estremamente incerta, anche perché condizionata dall’inflazione (che tuttavia potrebbe toccare un picco ciclico durante l’estate, e successivamente ripiegare) e dalla prossima e/o ulteriore stretta fiscale in molti paesi sviluppati (Stati Uniti su tutti).
Ulteriore incertezza proviene dalla fine del QE2 statunitense, e da timori di un “vuoto” nella sottoscrizione dei Treasury, anche se i rendimenti in flessione costante da alcune settimane sembrano scontare più propriamente una frenata nella crescia più che squilibri tra offerta e domanda. Altro elemento di disturbo, il debito statunitense ha toccato l’attuale tetto di legge: ciò significa che il Tesoro opera con mezzi finanziari di emergenza per far fronte ai propri impegni di spesa. Se entro inizio agosto tale tetto non verrà alzato, vi è il rischio di default.
Nel redito fisso, mercati pressoché invariati per la seconda settimana consecutiva, anche se il flusso di notizie economiche continua a deludere. La correzione al ribasso dei rendimenti sul decennale statunitense potrebbe essere prossima ad esaurirsi, per il momento, anche a seguito di stagionalità di aumento dell’offerta di nuove emissioni sulla parte lunga della curva.
Ancora tensioni sui governativi periferici europei. Nuovo massimo storico per gli spread greci, mentre quelli spagnoli toccano il massimo da gennaio, a seguito di timori che le elezioni amministrative del 22 maggio facciano emergere nuovo debito, anche a seguito di cambi di colore dei governi locali. La Banca centrale europea minaccia, in caso di ristrutturazione del debito, di togliere ai bond greci la possibilità di essere utilizzati in contropartita di operazioni di rifinanziamento con l’istituto guidato da Jean-Claude Trichet. Evento catastrofico, visto che circa un quinto dei bilanci delle banche greche sono finanziati in questo modo. La cacofonia prosegue. Standard and Poor’s mette in outlook negativo il rating italiano di lungo termine, citando la persistente debolezza della crescita ed i rischi di paralisi politica
Sul mercato azionario, prosegue di fatto l’andamento laterale che ha caratterizzato gli ultimi due mesi, dove si fronteggiano l’impatto della fine del QE2, l’incertezza su un’eventuale ristrutturazione del debito greco, rischi di hard landing cinese ma anche forte capacità di generazione degli utili e margini ancora elevati. Il livello di “paura”, espresso dall’indice Vix e dai suoi equivalenti, appare ancora molto contenuto. Prosegue la sottoperformance dei ciclici rispetto ai difensivi. La correzione nella manifattura globale, guidata dalle scorte, è ancora in atto. L’azionario dei paesi emergenti continua a fare peggio di quello dei paesi sviluppati, con l’elemento flussi divenuto negativo nelle ultime settimane a causa di deflussi dai fondi specializzati in emergenti, ma anche di un calo dell’attività di merger & acquisition e di riacquisto di azioni proprie.
Sul mercato dei cambi, il tema delle privatizzazioni sembra tornare di attualità in Europa. L’Ue sta infatti insistendo affinché la Grecia realizzi un ambizioso programma di privatizzazioni posti a garanzia di un finanziamento-ponte; senza ulteriori fondi “istituzionali” dell’Unione, la ristrutturazione (cioè il default) del debito greco appare certa. La Finlandia, inoltre, ha già richiesto progressi tangibili sul programma di privatizzazioni portoghesi come precondizione al proprio impegno ad erogare prestiti nell’ambito dello European Financial Stabilisation Fund (EFSF).
Questo tema non è confinato alla sola Europa periferica, tuttavia, e le conseguenze valutarie potrebbero essere rilevanti. Secondo alcune valutazioni, le privatizzazioni in Spagna, Irlanda e Portogallo ridurrebbero lo stock di debito di tali paesi in misura trascurabile (dal 2 al 5 per cento dell’esistente), ma sommate a quelle della Grecia risulterebbero superiori al deficit delle partite correnti dell’area euro. Eventuali acquisti corposi da parte di non residenti avrebbero un impatto positivo sul cambio dell’euro. L’incognita, al solito, è rappresentata dalla tempistica.
Lieve ribasso settimanale per le materie prime, con cali dell’energia compensati da forti guadagni in agricoltura (circa il 10 per cento per grano e mais), per effetto di clima insolitamente asciutto (quasi siccitoso) in Europa e di rinvii di semine negli Stati Uniti. Con le scorte già a livelli storicamente bassi a causa delle condizioni meteo estreme dello scorso anno, ogni ulteriore imprevisto alla produzione può solo esacerbare le condizioni strette del mercato dei grani.