Una secchiata d’acqua gelida

Clamoroso al Cibali: se passa il si alla abrogazione della remunerazione del 7 per cento, le multiutility smettono di investire. E se lo dice Hera, la più progressista delle multiutility, c’è da crederci. Con buona pace delle reazioni politiche locali, che brandiscono programmi di investimento vecchi di tre anni, formulati sotto un differente quadro normativo, ma soprattutto (ohibò!) “tutti compresi all’interno di piani tariffari approvati dalle Ato”. Perché pare che la programmazione e la certezza di risorse contino, quando si fanno investimenti complessi ed in un arco pluriennale quali sono quelli legati al trattamento delle acque.

Depurazione inclusa, “sulla base di precise tabelle di incrementi in bolletta”, frignano i politici emiliani aggrediti dalla realtà. Hai visto mai che le tariffe riusciranno a sopravvivere anche ad un eventuale quorum referendario? Perché si ha un bel riempirsi la bocca con la mitologica ripubblicizzazione francese, ma gli investimenti in un modo o nell’altro devono essere remunerati. E’ vero che, se l’azienda che gestisce l’acquedotto è pubblica, la tariffa va giù come uno zuccherino, ma sempre di tariffa si tratta. E qui saranno dolori per il Pd ed il suo “modello emiliano”, con buona pace delle smentite di Bersani, che in questo periodo sembra uno che ha sempre capito tutto, dall’inizio.

Perché, vedete, in tutta questa metafisica dei malintesi, esiste una tragicomica divaricazione tra gli obiettivi dell’ex partitone rosso e quelli dei referendari duri e puri. I primi pensano di cavalcare i sogni, ma alla fine di mantenere lo status quo, con tariffe che remunerino investimenti, anche se fatti da entità pubbliche. I secondi, invece, con le truppe di complemento di Padre Zanotelli in veste di esorcista, puntano decisamente a farla pagare cara, a tutti.

In questo contesto vanno quindi decodificate le imbarazzate parole del Verde Angelo Bonelli (a volte ritornano), che l’altra sera dalla Gruber a Otto e mezzo ha scolpito che le risorse pubbliche per gli investimenti verranno da una non meglio precisata “buona amministrazione” (sic). Immaginiamo che tale entità salvifica prenderà le fattezze di nuove imposte. Come ha detto il consigliere di amministrazione di Hera, Luigi Castagna,

«Se quel 7 per cento non ci fosse più, il carico dovrebbe gravare sulla fiscalità generale perché, sia a livello nazionale che locale, le risorse pubbliche non ci sono. Normalmente un’azienda che decide di effettuare un investimento lo finanzia attraverso un mutuo. Noi invece ce lo assumiamo per intero e dunque è corretto che, nel tempo dovuto, quell’investimento venga remunerato. Se così non fosse, le disponibilità su cui poter contare sparirebbero»

Chissà, magari, per lastricare di buone intenzioni la strada dell’inferno, l’acqua è solo il primo step verso la Gioiosa Era della Patrimoniale. Occhio, segretario Bersani, siam mica qui a srotolare pitoni. E ricordiamo allo stesso Bersani e ad Antonio Di Pietro (ieri sera ad Annozero definitosi “collega” di Beppe Grillo, forse per comicità) che, se resta la Ronchi, al 31 dicembre di quest’anno le società pubbliche non dovranno gettare sul mercato le proprie quote a prezzi stracciati per fare entrare i privati perché semplicemente non è così, lo dice la legge stessa.

Chiusura d’obbligo per l’abituale lato B della sinistra italiana, quell’irresistibile richiamo ad intermittenza all’ipse dixit che viene da Oltretevere. E quindi, torna utile l’altrimenti odiato “Pastore tedesco” (copyright degli stessi autori di questa copertina). Ma diventare adulti, mai?

 

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