L’Europa ha bisogno dell’unione fiscale?

Su noiseFromAmerika, Alberto Bisin esprime dubbi sulla necessità di uno stretto coordinamento delle politiche fiscali nell’area euro, e giunge alla conclusione che un’unione fiscale non è affatto necessaria (né fondamentale), anche in presenza di una unione monetaria e che non garantisce la convergenza delle politiche fiscali dei paesi membri, mentre limita l’efficienza della finanza pubblica. Il punto, però, è la definizione di “unione fiscale”.

Riguardo ai singoli punti di argomentazione, per Alberto meglio sarebbe stato (e sarebbe) definire meccanismi per un default sovrano ordinato; inoltre, un’unione fiscale tenderebbe

«a generare dipendenza (dei poveri dai ricchi) e inibiscono la convergenza nei tassi di crescita e anche nei tassi di spesa pubblica. Basti guardare all’Italia, che è una unione fiscale (e monetaria) ma le cui regioni, in mancanza di un meccanismo che le renda responsabili davanti agli elettori, hanno mantenuto per decenni e continuano a mantenere tassi di crescita e spesa pubblica divergenti»

Da ultimo, l’unione fiscale deresponsabilizzerebbe i paesi membri (centri di spesa locale) davanti ai propri elettori, inibendo la competizione fiscale tra paesi, che rappresenterebbe la forma più efficiente di riequilibrio delle divergenze. Analizziamo ora le singole argomentazioni.

Riguardo ai meccanismi di default sovrano ordinato, questa è sicuramente la via migliore, ed era stata timidamente proposta, soprattutto dai tedeschi (tra le decine di altre proposte sparate sui giornali), lo scorso autunno. Ma è in seguito naufragata tra i flutti dell’infattibilità operativa. Il default sovrano, infatti, per essere “ordinato”, necessita di attenuare al massimo l’impatto moltiplicativo che i default sovrani avrebbero sul sistema finanziario e creditizio. In soldoni, potremmo dire che era meglio lasciar fallire Grecia, Portogallo ed Irlanda e puntellare le banche creditrici. Ma “puntellare le banche creditrici” vuol dire che le stesse devono ricapitalizzare. E se non riescono a farlo, vengono nazionalizzate. Basta chiamare le cose col loro nome. Avremmo speso meno a nazionalizzarle che non a puntellarle, ma quello è altro discorso. Quindi la via dell’orderly default come sostituto dell’unione fiscale appare preclusa, al momento.

Riguardo alla generazione di dipendenza dai poveri dai ricchi, ed alla inibizione della competizione fiscale tra singoli paesi, proviamo ad osservare quello che accade negli Stati Uniti. Laggiù la competizione fiscale sussiste e produce effetti di riequilibrio (quanto rilevanti, soprattutto in tempi recenti, dopo la crisi dell’immobiliare che ostacola la relocation, non è dato sapere). Ma negli Stati Uniti la lingua è una sola (diciamo due, ma ciò non inficia il ragionamento generale), a differenza dell’Europa, e ciò mette a serio rischio l’ipotesi di mobilità del fattore lavoro europeo. E soprattutto, gli Stati Uniti sono uno stato federale ma hanno meccanismi comunque stabilizzatori centralizzati: Social Security, Medicare e Medicaid. Gli stessi sussidi di disoccupazione rappresentano un’erogazione congiunta federale e statale.

Si dirà che gli Usa sono uno stato federale; ma nulla vieta che l’Ue evolva per realizzare lo slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. In questo senso, occorre quindi intendersi sul concetto di “unione fiscale”. L’attuale costruzione europea è fallita per due motivi: l’assenza di meccanismi cogenti di sanzione delle divergenze macroeconomiche tra paesi membri ed il mancato governo della natura transnazionale del sistema bancario. Il patto di stabilità e crescita, come noto, è stato rottamato dagli stessi tedeschi (con l’operoso e fattivo contributo di italiani e francesi) nel 2005, e le banche continuano a godere di legislazioni predominantemente nazionali, che consentono il gigantismo, l’overleverage e l’arbitraggio regolatorio. Se non si affrontano e risolvono questi due nodi, l’Unione europea è doomed, come direbbero gli americani.

Al contempo, però, servirebbe un processo di riforma dei meccanismi di bilancio comunitario che istituisca forme di trasferimenti centralizzati, quale sarebbe un sussidio di disoccupazione europeo per gestire shock asimmetrici, ed un processo di ratifica delle leggi di bilancio nazionali ben più cogente dell’attuale, come si è tentato di fare dopo l’ultima crisi, ammesso e non concesso che ciò sia effettivamente fattibile, visto l’evidente predominio di linee di interesse nazionale.

Per concludere, occorre preliminarmente definire il concetto di “unione fiscale” (che Bisin assume al massimo grado di “costrizione”), ed integrare alcuni meccanismi di gestione dei default sovrani e bancari. Potremmo scoprire che parliamo delle stesse cose.

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