L’ultimo giorno dell’anno di disgrazia 2009, l’allora direttore del maggiore quotidiano economico italiano, volendo imitare (nel modo provinciale di cui solo i cosmopoliti opinion maker italiani sanno dar prova) la tradizione dei grandi giornali anglosassoni, si chiuse in conclave con se stesso (un panel of one, direbbero nelle migliori business schools di Caracas), ed al termine di questo raccoglimento interiore, non privo di vibrante dialettica, decise di assegnare il prestigioso riconoscimento di uomo italiano dell’anno al ministro dell’Economia. Quello che segue è il fedele copiaincolla delle auliche motivazioni.
Scriveva dunque Johnny Ryotta, quel 31 dicembre 2009:
«È Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, l’uomo dell’anno economico italiano 2009, secondo il panel del Sole 24 Ore. Nato a Sondrio nel 1947, professore all’università di Pavia, autore di best seller critici sulla globalizzazione e il “mercatismo”, capace di passare le notti sui saggi della New York Review of Books, discutere a brutto muso alla Bocconi con gli economisti Monti e Tabellini, amato, rispettato, criticato, temuto ma alla fine eletto al quinto posto dei ministri economici europei dal Financial Times»
«Nella crisi più grave dal ’29 Tremonti ha accentrato nelle sue mani il timone economico, spesso scontrandosi con i colleghi di governo. Recuperando circa 95 miliardi di euro con lo scudo fiscale (coadiuvato dall’inesauribile direttore delle entrate Attilio Befera), misura lodata da Le Monde, blindando la Finanziaria, non cedendo sulle richieste di spesa, Tremonti ha dato, nel caos politico, almeno un punto di riferimento chiaro. Il suo stile alla Mourinho può non piacere, troppo solitario, la competenza screziata dal narcisismo, qualche litigio superfluo: ma amici e nemici sanno sempre qual è la direzione e, in un’Italia che non sta guadagnando punti nel mondo, Tremonti è rispettato dai colleghi europei e americani»
«Aver fatto doppiare il capo più insidioso della crisi mondiale al nostro paese gli merita la nostra scelta di uomo del 2009. Nel 2010 lo attendono nuove sfide, politiche e personali. Contribuire in prima persona al clima di dialogo che inneschi le cruciali riforme economiche. Passare dal rigore ferreo del 2009 a una linea di sviluppo, sostegno, innovazione e investimenti per le aziende che, concordata in una pax bancaria e istituzionale vera, possa avviare per l’Italia l’uscita dalla crisi sì, ma anche dal formidabile ristagno del passato. Un Tremonti maturato al ruolo di statista, capace di ascoltare le critiche non come polemica sterile ma come dibattito intellettuale, il Tremonti che sa presiedere, per esempio, con eccellenza l’Istituto Aspen, senza più attriti, può ridare fiducia ai marchi, velocizzare le start up, creare con le istituzioni, le banche, i laboratori, le imprese e le università un network italiano che recuperi il passo perduto nella crisi e confermi il nostro paese leader nel XXI secolo. È questo il nostro augurio 2010, complimentandoci intanto con Giulio Tremonti»
Amen, brother. Il Grande Pacificatore di mercati ed attori sociali e di mercato italiano, l’uomo che doveva dare una “linea di sostegno” agli investimenti ed ha tagliato in doppia cifra quelli pubblici; l’uomo che avrebbe potuto costituire il maggiore goodwill del Made in Italy (già pronte le etichette a marchio registrato “cuius vegio, eius veligio“, per il country merchandising), il leader visionario della partita doppia (come la vista), l’uomo che passava le notti sulla New York Review of Books, alla disperata ricerca di una illustrazione e discuteva a brutto muso in Bocconi, protestando anche là per la mancanza di disegnini diversi da quelle stupide curve di domanda e offerta, sta ancora oggi tentando di dare il suo caratteristico marchio di fabbrica al nuovo miracolo italiano.
Ad esempio, ridefinendo il concetto di produttività e prevedendo un rimbalzo del Pil dello 0,1 per cento dalla abolizione delle festività civili in calendario, o immettendo in busta paga il rateo di Tfr maturato dai lavoratori che non hanno optato per la previdenza complementare. In tal modo, lo stato potrà tassare ad aliquota marginale Irpef ciò che oggi è tassato molto meno, ed i lavoratori potranno spendersi per disperazione un risparmio forzoso che avrebbe dovuto avere altre destinazioni, ottenendo quell’ossimorico libero arbitrio da stato di necessità che permetterà agli editorialisti di giornali sussidiati dai contribuenti italiani di affermare compiaciuti che il nanny state italiano è finalmente morto, nella stanza di un manicomio. Oppure spilluzzicando (ad oggi senza reintegro) una quindicina di miliardi di euro dal Fondo di Tesoreria Inps dove confluiscono i Tfr dei lavoratori di aziende con almeno 50 dipendenti. Creatività, il tuo nome è Giulio.
E’ bello avere degli opinion maker all’altezza della nostra classe politica. Se si chiama classe dirigente, un motivo deve esserci. Ma ora siamo soprattutto preoccupati per un dettaglio, scoperto giorni addietro: l’Uomo economico italiano dell’anno 201o, per Riotta, era Sergio Marchionne. Pare lo abbiano scoperto improvvisamente anche i mercati, da qualche giorno a questa parte. Ma è proprio vero, la leadership non è un pranzo di gala.