Prosegue la lenta discesa agli inferi dei mercati azionari, con indicatori di stress creditizio ancora molto elevati, soprattutto nel settore finanziario europeo e statunitense. Il caso Dexia, la banca franco-belga che già nel 2008 era stata salvata con iniezioni di denaro pubblico, sta evolvendo verso l’esito più prevedibile: chiusura della dimensione transfrontaliera e pubblicizzazione per linee nazionali, cioè francese e belga. Non a caso oggi il rischio sovrano belga, come misurato dai credit default swap, è considerevolmente aumentato. Un giorno non lontano dovremo scegliere tra una grama esistenza cenciosa con tassi di disoccupazione da 1929 oppure monetizzare i debiti sovrani oppure salvare le banche, ricapitalizzandole con soldi stampati per monetizzare debiti sovrani. A questo punto ci sorge il dubbio che nel nostro futuro ci siano forme di monetizzazione del debito.
La crisi greca prosegue, questa volta con la notizia del rinvio a novembre della nuova tranche di aiuti da parte della troika. Il motivo pare piuttosto semplice: la Grecia deve tagliare 30.000 posti di lavoro nella pubblica amministrazione. La troika vuole la certezza che l’operazione avvenga, prima di procedere all’esborso. A questo punto, è interessante il fatto che il ministro delle Finanze greco, Evangelos Venizelos, si sia sentito in dovere di precisare che la cassa c’è fino a novembre, contraddicendo le dichiarazioni del suo stesso esecutivo, che pareva essere ormai a secco, da metà ottobre. La verità non la sapremo mai. Allo stesso modo in cui pare che la troika abbia suggerito al governo Papandreou di smantellare i contratti collettivi di lavoro. L’obiettivo è evidente: in un contesto di cambio fisso e non controllabile dal paese, serve una deflazione interna, cioè un calo di prezzi e salari, per recuperare competitività. In altri termini, “serve” una depressione (che dio, o chi per esso, ci perdoni). Ma la domanda sorge spontanea: che cosa esporta la Grecia, esattamente, essendo uno dei paesi con la minore incidenza di interscambio commerciale sul Pil?
Negli Stati Uniti il capo economista di Goldman, il bravo Jan Hatzius, prevede una certa resilienza dell’economia americana nel quarto trimestre, con una crescita annualizzata del 2,5 per cento, rivista al rialzo dalla precedente stima del 2 per cento, ed una probabilità di recessione nel 2012 del 40 per cento, con disoccupazione al 9,5 per cento. Forse Hatzius dovrà rivedere al rialzo le probabilità di recessione, visto che il capo della maggioranza Repubblicana alla Camera, Eric Cantor, ha (non sorprendentemente) informato che il piano di Obama per l’occupazione “è morto“. A meno di nuovi impulsi espansivi, da gennaio l’economia americana subirà una restrizione fiscale di circa l’1,5 per cento annualizzato, per effetto del venir meno dello stimolo passato a dicembre 2010, per compromesso tra Congresso e Casa Bianca, e centrato in ampia parte su tagli d’imposta, che non hanno fatto il miracolo. Ma neppure questo è sorprendente.
E morta, o agonizzante, sembra anche la candidatura del governatore-faccendiere texano Rick Perry, (quello del noto “miracolo“) che annaspa sempre più nei sondaggi e, secondo il pollster Rasmussen, oggi perderebbe contro Obama per 43 a 37 per cento. Un vero peccato: avremmo voluto vedere all’opera alla Casa Bianca l’uomo che falsifica il bilancio pubblico per poter affermare che non aumenta le imposte, o che butta sussidi pubblici per attrarre i prestatori specializzati in mutui subprime, guadagnandoci (come sempre) un bel po’ di soldi di contributi di campagna elettorale. Ad oggi, quindi, vi è una non bassa probabilità di scontro finale tra il socialista-islamico-keniota Barack Obama e Mitt Romney, l’uomo che ha riformato la sanità del Massachusetts secondo criteri poi in larga parte copiati da Obama. Che gli americani siano ormai inevitabilmente minati dalla tabe keynesiana, come direbbero alcuni nostri osservatori che usano quell’oggettivo allo stesso caricaturale modo in cui il nostro premier usa il termine comunisti? In attesa di scoprirlo, la crisi continua. Potete scommetterci.