Sulla natura commerciale (cioè di differenziale di competitività) e non fiscale della crisi del debito europeo, di cui abbiamo già scritto, è utile segnalare il pezzo di Martin Wolf sul Financial Times.
Premesso che l’intero pezzo è da leggere, e che in esso ritroverete le problematiche da corso base di economia politica sugli squilibri commerciali in una unione valutaria, c’è soprattutto un passaggio che bene illustra le difficoltà “esistenziali” dell’intera operazione di riequilbrio, che si vorrebbe far passare solo attraverso una stretta fiscale violenta e concentrata nel tempo:
«In breve, è estremamente difficile eliminare i deficit fiscali, nei paesi strutturalmente importatori di capitali, senza prolungate recessioni o enormi miglioramenti nella loro competitività esterna. Ma quest’ultima è relativa, quindi i necessari miglioramenti nella performance esterna dei paesi deboli dell’Eurozona implicano un deterioramento in quelli dei paesi esportatori di capitali, oppure una performance esterna radicalmente migliore per l’Eurozona nel complesso. Il primo significa che la Germania diventi molto meno Germania. Il secondo implica che l’Eurozona divenga una mega-Germania. Chi può credere che l’uno o l’altro esito sia plausibile?»
Dovrebbe essere sufficientemente chiaro, anche perché è scritto in ogni manuale di macroeconomia, ma di certo non lo sarà. Non è chiaro se l’obiettivo tedesco sia quello di fare di tutta l’Eurozona una gigantesca Germania. In quel caso potremmo andare ad esportare su Marte, o sperare che la Cina diventi la nuova America, in termini di consumi compulsivi. Tutto quello che avremo, invece, sarà il drammatico fallimento dell’ultimo vertice, e questa non è una notizia, anche senza bisogno di considerare che ci sono paesi già pronti a richiedere dei referendum per la partecipazione all’accordo intergovernativo dal quale dovrebbe sorgere la cosiddetta “unione fiscale”.
Altro canale di fuoriuscita dalla crisi è la deflazione nei paesi in deficit commerciale. Ma in quel caso avremmo un aumento del peso reale del debito, con conseguente stretta della corda al collo dei debitori, ed aumento delle probabilità di default. In questo senso la visione di Wolf, che vede non una “unione di stabilità e crescita” bensì una “unione di instabilità e stagnazione” è anche troppo ottimistica. Sottoscriveremmo l’ipotesi di avere “solo” una stagnazione, nei prossimi mesi.