Affondati – 2

Su lavoce.info, Tito Boeri e Luigi Guiso spiegano in modo molto efficace perché il principio di diversificazione vale ancora, ed a maggior ragione dovrebbe valere per le fondazioni bancarie, che per contro si trovano ad avere ormai come pressoché unico asset le banche conferitarie.

Dell’influenza nefasta della politica si è detto e si dice, da sempre. Meno di frequente (e non stupisce, trovandoci in un paese dominato dall’analfabetismo economico) si parla dell’esigenza di diversificare gli investimenti delle fondazioni, per evitare quelle che Boeri e Guiso definiscono, con delicato eufemismo, “fluttuazioni idiosincratiche della profittabilità della banca” conferitaria. Che tradotto per i non specialisti vuol dire che bisognerebbe evitare di mettere tutte le uova nello stesso paniere. Anche per evitare di fare come quella fondazione che, se nel 2007 avesse investito il proprio patrimonio in un bell’Etf sulla borsa italiana, oggi si ritroverebbe con un patrimonio oltre cinque volte superiore a quello attuale. Ed i suoi vertici potrebbero tenere delle piacevoli conferenze sui benefici della diversificazione, aggiungeremmo.

Prescindendo dai casi specifici, Boeri e Guiso spiegano perché una fondazione non può e non deve avere tutto il proprio capitale nella banca conferitaria. E’ una argomentazione ineccepibile, tranciante ed inappellabile, in punto di fatto e di logica:

«Il fatto è che le fondazioni sono, per definizione, utilizzatrici di reddito anziché generatrici di flussi di cassa. Il reddito che utilizzano per il conseguimento delle finalità statutarie è lo stesso che produce la banca in cui investono; se quest’ultima ha bisogno di nuovi apporti, questi non possono certo arrivare dalle fondazioni che non hanno fonti alternative di generazione di cash flow. Di conseguenza, le fondazioni non possono intervenire per salvare il proprio investimento e, se lo fanno usando parte della propria dotazione, rischiano di affondare assieme alla banca che vorrebbero salvare compromettendo le finalità sociali per cui erano state create»

Una fondazione deve avere investimenti fortemente diversificati, per aumentare la probabilità di poter procedere a ricapitalizzare la banca conferitaria. Ma se quest’ultima è l’unico asset della fondazione, e ha problemi tali da non riuscire a generare reddito (necessitando quindi prima o poi di una ricapitalizzazione), come potrà ricevere nuovi mezzi da una fondazione che, a sua volta, sta morendo soffocata? In questi casi, per non perdere la presa politica sul territorio, le fondazioni tendono a rinviare la resa dei conti. La quale, però, fatalmente arriva e travolge le fondazioni, spazzandone via il capitale, nella costernazione dei notabili di turno e delle loro clientele.

In un paese normale, questo pezzo di Boeri e Guiso non avrebbe mai visto la luce. In un paese normale, “qualcuno” si sarebbe chiesto perché un investitore deve avere la quasi totalità dei propri investimenti in un asset, violando uno dei principi più banali della teoria dell’investimento. Ma questo, notoriamente, non è un paese normale.

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