Macromonitor – 22/1/2012

La ripresa dei mercati rischiosi prosegue e si amplia, estendendosi anche alle valute dei paesi emergenti ed al credito. Dollaro e obbligazionario, che avevano inizialmente ignorato il rally, stanno ora reagendo, piegando al ribasso.

Ci si chiede se questo movimento dei mercati non sia per certi aspetti disconnesso dalla realtà, vista la debolezza dell’economia globale, un andamento non brillantissimo degli utili statunitensi, la continua incognita dell’immobiliare cinese, gli scarsi o nulli progressi dell’Eurozona verso la risoluzione della crisi di debito sovrano, il rischio di un default disordinato della Grecia, in assenza di progressi nel negoziato sulla ristrutturazione del debito. La risposta potrebbe anche essere affermativa ma, a fronte di dati fondamentali tutt’altro che esaltanti, i mercati sembrano guardare piuttosto all’ipotesi del raggiungimento di una stabilizzazione e di un minimo congiunturale che preluda ad un rimbalzo, che avverrebbe prima delle previsioni di consenso. Il tutto senza dimenticare che i recuperi dei mercati finanziari tendono ad autoavverare le profezie di ripresa, perché migliorano le condizioni di liquidità, finanziamento, i prezzi degli attivi e più in generale il sentiment degli agenti economici.

In Cina, sia il Pil del quarto trimestre 2011 che gli indici dei direttori acquisti di gennaio sono usciti meglio delle attese, rafforzando l’ipotesi di soft landing dell’economia; ciò a sua volta sta inducendo gli investitori almeno a ridurre le posizioni di sottopeso sui mercati azionari emergenti, spingendoli a risultati migliori di quelli dei paesi sviluppati. In Eurozona, le condizioni di finanziamento dei paesi periferici sono lievemente migliori di quanto visto nel recente passato, con spread italiani in restringimento da inizio anno, mentre quelli spagnoli e (soprattutto) portoghesi sono significativamente più larghi.

Sia l’Italia che la Spagna mantengono l’accesso ai mercati, anche grazie alla massiccia partecipazione delle rispettive banche domestiche alle aste di titoli di stato, circostanza che rafforza la sensazione che il finanziamento a tre anni della Bce del 21 dicembre sia stato in qualche modo uno spartiacque nella crisi. In realtà, questo intervento della Bce serve soprattutto a prendere tempo, in attesa di una soluzione fiscale vera della crisi. Non si deve dimenticare tuttavia che, quanto più tale intervento della Bce avrà successo, tanto più si allenterà la pressione sui leader europei per concepire interventi realmente risolutivi.

Sul mercato del reddito fisso, i rendimenti dei titoli governativi core (Germania, Stati Uniti) sono rimbalzati, con l’affermarsi di maggiore fiducia dopo il maxi rifinanziamento della Bce. Il mercato e lo stesso Mario Draghi si attendono anche per l’asta del 29 febbraio una forte domanda, che consentirà alle banche di continuare a sostenere i propri mercati obbligazionari domestici. L’austerità resta comunque opprimente: ad esempio, esponenti del governo spagnolo iniziano a segnalare che l’obiettivo di un rapporto deficit-Pil del 4,4 per cento, previsto per quest’anno, potrebbe essere mancato, a fronte di una recessione europea più severa del previsto. I rendimenti del centro dell’Eurozona restano storicamente molto bassi, soprattutto dato l’andamento degli indici azionari, tornati ai livelli di fine ottobre, quando (ad esempio) il rendimento del Bund decennale era di 30 punti-base più elevato dell’attuale. La maggiore fonte di sostegno per l’obbligazionario viene comunque da politiche monetarie eccezionalmente lasche, anche per il prossimo futuro.

Sui mercati azionari, il movimento di recupero sta danneggiando i portafogli sottopeso, spingendo molti investitori ad aumentare il rischio, acquistando. Ciò alimenta la ripresa delle quotazioni, in assenza di notizie significativamente negative. In Europa, la riduzione di pessimismo vista negli ultimi giorni si confronta con una realtà di recessione che potrebbe essere peggiore delle previsioni.

Sul mercato dei crediti, prosegue il restringimento degli spread, pur se meno brillante del movimento azionario, soprattutto negli Stati Uniti, circostanza che potrebbe essere anche imputata al posizionamento degli investitori, che appaiono più scarichi di azionario che di obbligazioni societarie. Movimento differente, per contro, per i credit default swap, che hanno mostrato in settimana un vistoso restringimento soprattutto sui finanziari senior, a conferma del fatto che i fondi della Bce stanno riuscendo a ridurre la percezione di rischio su banche e sovrani.

Rialzo delle materie prime di quasi il 2 per cento in dollari, in settimana, ancora sulla spinta dei metalli-base, pur se compensata dalla debolezza del mercato petrolifero. Il ritorno dell’offerta libica si verifica in corrispondenza di una più debole domanda europea e statunitense, e ciò irripidisce le curve a termine dei futures rispetto al prezzo spot.

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