Interessante analisi del Financial Times sul miracolo manifatturiero tedesco. Lettura integrale consigliata, tali e tanti sono gli argomenti trattati. A noi preme segnalare solo due punti.
Il primo è una valutazione di Hans-Werner Sinn, economista presidente dell’istituto di ricerca economica Ifo e autore quasi un decennio addietro, quando la Germania era “the sick man of Europe” (e mandava a gambe all’aria il Patto di Stabilità per riuscire a trarsi d’impaccio), del volume “La Germania può essere salvata?” La risposta è ovviamente affermativa, ma il commento di Sinn è illuminante:
«Il problema demografico, gli alti costi nei nuovi Laender (quelli orientali), sono ancora in essere. Ma i problemi di un Ovest del paese troppo costoso, con salari troppo alti, è stato risolto…quello che ci ha aiutato è stato il fatto che altri paesi hanno inflazionato rispetto alla Germania. Questo ha contribuito grandemente al successo della Germania»
Semplicemente perfetto. Abbiamo un paese in profonda crisi ma comunque inserito in un contesto di crescita globale. Il paese si libera con la forza dei vincoli di politica fiscale della propria area economica di appartenenza ed inizia un’azione di contenimento dei salari nominali, concordata con le forze sociali. Alla fine, l’operazione riesce anche (o soprattutto?) perché sono i suoi partner commerciali a vivere un aumento del differenziale di prezzi e costi, a loro svantaggio. E’ verosimile che tale differenziale si sia peraltro sviluppato a seguito degli imponenti afflussi di capitali nei paesi della periferia dell’Eurozona, dopo l’avvio della moneta unica e la percezione (fallace) di un azzeramento della rischiosità di singoli stati nazionali.
Ora, provate ad adattare questa ricetta di successo alla situazione attuale: non c’è crescita ma recessione, causata dalla stretta fiscale imposta draconianamente al resto d’Europa dai tedeschi e dalla loro angoscia da debito. Impossibile chiedere alla Germania di reflazionare, per consentire agli altri paesi di disinflazionare senza deflazionare. Unica strada, quindi, una discesa in valore assoluto di prezzi e salari nei paesi che devono recuperare competitività . Ma, come dovrebbe essere noto, deflazionare in contesti ad alto debito equivale ad aumentare drammaticamente l’onere reale del debito medesimo e di conseguenza il rischio di default, facendo assumere al rapporto debito-Pil degli sventurati paesi una traiettoria esplosiva.
La retorica tedesca del “tutti competitivi, tutti esportatori” è nuda, dopo questa candida confessione di Sinn.  Una piccola nota a margine per quanti ritengono che criticare la Germania per questo differenziale di competitività e per il modo in cui si è creato sia abbracciare una logica da “modello superfisso”. Non è così, e l’affermazione di Sinn ne è la riprova.
Il secondo punto meritevole di segnalazione è più che altro una curiosità . In Germania, malgrado la recente ripresa di immigrazione, persiste un serio problema demografico, con aumento del tasso di dipendenza, cioè del rapporto tra pensionati e lavoratori attivi. La tendenza, comune a tutto l’Occidente, è quella di aumentare la durata della vita lavorativa. Ma in manifattura tale allungamento trova anche precisi limiti fisici. Ecco quindi che alla Fiera di Hannover viene presentato un esoscheletro robotizzato di mano, che si indossa come un guanto e permette ai lavoratori più anziani delle linee di produzione di amplificare la potenza dei muscoli delle dita, per poter lavorare più a lungo.
Se la cosa vi intristisse pensate che da noi, nell’improbabile caso in cui dovessimo continuare ad avere imprese che fanno ricorso a linee di montaggio, di questo passo potremo al massimo aspirare alla fornitura di cateteri, per ridurre ulteriormente i tempi di pausa, che tanto male fanno alla leggendaria produttività .