Con le ultime manovre di finanza pubblica, le due fatte la scorsa estate e il decreto Salva-Italia di fine 2011, “c’è stato un processo di aggiustamento di quasi 5 punti percentuali del Pil” tra il 2012 e il 2014. Lo ha detto il vice ministro all’Economia, Vittorio Grilli, nel corso di un’audizione alla Camera.
Con le due manovre estive l’aggiustamento è stato pari al 3,4 per cento del Pil, al quale si è aggiunto un 1,4 per cento con il decreto Salva-Italia, ha spiegato il viceministro. Partendo da questo rilevante dato, provate a spiegare per quale motivo l’economia è stata uccisa sapendo che, anche se la correzione si fosse verificata in via esclusiva o prevalente dal lato delle spese, il risultato finale non sarebbe cambiato, nel breve periodo. Questa non è (ripetiamo: non è) una passiva accettazione del fatto che le correzioni in Italia debbano essere fatto dall’esclusivo versante delle entrate, cosa che sta sempre più diventando una follia manifesta, ma solo la considerazione che dovrebbe esserci un limite anche al voodoo della supply side, quando un’economia si trova con un drammatico buco di domanda aggregata, a causa di una balance sheet recession, detta anche recessione patrimoniale, da debito o crisi finanziaria. Ci arriveremo, prima o poi?
Mentre meditate sull’elaborato, vi segnaliamo che oggi Eurostat ha pubblicato i dati aggiornati sulle metriche di finanza pubblica della Ue-27, aggiornate al 2011. Da esse si evince che, nel periodo 2008-2011, da noi l’incidenza della spesa pubblica su Pil è passata dal 48,6 al 49,9 per cento. Se l’aumento vi pare mostruoso, provate a pensare che, in questo periodo, il nostro Pil è diminuito sensibilmente, e sono quindi scattati gli stabilizzatori automatici (pur se parzialmente soppressi per esigenze di finanza pubblica), come nel resto d’Europa, peraltro.
Se siete austeramente scettici su questa chiave di lettura, guardatevi l ‘andamento della spesa pubblica su Pil della teutonica Finlandia, passata da 49,3 a 54 per cento. Avete letto bene, cinquantaquattropercento. Che scandalo keynesiano, signora mia. Anche le triple A hanno gli stabilizzatori automatici, si direbbe. Ma guardatevi anche l’Olanda, da 46,2 a 50,1 per cento. E pure la Germania, passata dal 44 al 45,6 per cento dopo essere stata, al nadir della recessione (che per i tedeschi è stato simile al nostro), in un intorno del 48 per cento. L’Irlanda passa dal 42,8 al 48,7 per cento, la Danimarca dal 51,5 al 57,9 per cento mentre il Regno Unito, che ha iniziato una cura di austerità fiscale, ha comunque visto nel periodo il rapporto crescere dal 47,8 al 49 per cento.
Già che ci siete, visto che gli stabilizzatori automatici operano anche dal versante delle entrate, osservate pure l’incidenza di queste ultime sul Pil: scoprirete che è in generale flessione, e la cosa non stupisce affatto. Tornando alla spesa, verrebbe pure voglia di essere sufficientemente perfidi e beffardi da farvi notare che, visto che in Italia c’è un rilevante peso del sommerso, la nostra spesa pubblica incide sul Pil effettivo su livelli molto “americani”, ma non è il caso di infierire.
Se, dopo questi dati, pensate ancora che la crisi sia un caso di dissipatezza e non di entrata in loop del sistema europeo a causa di una profonda recessione e di una successiva stretta prociclica, è esclusivamente un problema vostro. A noi premerebbe, più che altro, che la nozione di stabilizzatori automatici si insegnasse almeno nelle scuole superiori, oltre che in quelle di giornalismo e di formazione politica.