Mercati azionari e delle materie prime in ribasso in settimana, dollaro in rialzo sullo stallo greco e dati congiunturali cinesi più deboli.
Nel corso dell’ultimo mese, i mercati azionari sono in ribasso di circa il 7 per cento a livello di indici globali, anche se da inizio anno vi è ancora un segno positivo. Siamo quindi prossimi al limite convenzionale di quella che viene definita una correzione (che scatta per ribassi dell’ordine del 10 per cento) e che rischia, se dovesse protrarsi, di diventare un vero e proprio movimento ribassista. Riguardo i fattori in grado di condizionare lo scenario, le previsioni di crescita continuano a non variare in modo rilevante, e restano in un consenso di crescita bassa ma stabile. Stabilità confermata per gli Stati Uniti anche dagli ultimi dati macro, mentre la Cina mostra ulteriori segni di rallentamento relativi a produzione industriale e vendite al dettaglio, sui dati di aprile. Le ipotesi di rimbalzo dell’attività economica cinese poggiano in larga misura sulla realizzazione di manovre di allentamento fiscale e monetario. Nella giornata di sabato 12 maggio è stato annunciato il terzo taglio degli ultimi sei mesi del coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, pari a 50 punti-base, mentre lo stimolo fiscale dovrebbe vedere la luce durante l’estate.
Gli indicatori di valore nei mercati rischiosi, rappresentati dal premio al rischio rispetto al rendimento di liquidità e titoli di stato “sicuri”, sono ulteriormente migliorati in conseguenza della correzione dell’azionario, ma erano già su livelli storicamente elevati. L’azione di reflazione perseguita dalle banche centrali attraverso la fornitura di liquidità resta in essere e rappresenta una rete di protezione di medio termine anche se nel breve periodo, in caso di peggioramenti degli indicatori di crescita, potrebbe essere potenziata con nuovi episodi di easing quantitativo. Il posizionamento degli investitori appare in larga misura neutrale.
Nell’immediato, restano elementi di negatività per i mercati, come il rilevante peggioramento percepito della situazione dell’Eurozona. Il fallimento delle elezioni generali greche nel fornire al paese un governo stabile e favorevole all’euro ed al Memorandum siglato con la Troika ha aumentato il rischio di eventuali uscite dalla moneta unica e di contagio massivo del resto dell’area. Lo scenario peggiore prevede il rifiuto delle condizioni della Troika da parte di un nuovo governo greco, la cessazione delle erogazioni ad Atene legate ai patti di salvataggio, una imponente fuga di capitali in anticipazione dell’uscita dall’euro, che a sua volta causerebbe l’introduzione di controlli valutari in Grecia, il cui governo finirebbe poi con l’essere costretto ad emettere nuovi titoli di credito con cui pagare salari, stipendi e pensioni.
L’effetto di contagio determinerebbe fughe di capitali anche dal resto della periferia, che segnerebbero la fine della circolazione dell’euro come moneta unica. Servono iniezioni di capitale per le banche, similmente a quanto avviato dalla Spagna con le decisioni di venerdì 11 maggio, ed una accelerazione al processo di integrazione e mutualizzazione dell’accesso al finanziamento. Nel breve termine, la crisi potrebbe essere attenuata con un rallentamento del processo di consolidamento fiscale, anche visti gli ormai sempre più evidenti scostamenti nelle metriche di deficit e debito su Pil, ormai certificati anche dalle previsioni della Ue.
Sul mercato del reddito fisso, rendimenti in calo nelle aree centrali e “sicure” specularmente ai nuovi timori sulla periferia europea, innescati dalla situazione del sistema creditizio spagnolo e dallo stallo in Grecia. Se la probabilità di effettiva defezione greca dall’euro dovesse essere intorno al 50 per cento (ma vi sono analisi di case d’investimento che hanno già alzato la stima al 75 per cento), è molto probabile che gli spread interni all’Eurozona subirebbero un ulteriore, significativo allargamento, a seguito dei deflussi da parte di investitori, aziende e depositanti che avverrebbero nell’ipotesi di defezione greca.
Sul mercato azionario, la crisi politica greca si somma alle criticità spagnole e a dati economici più deboli, contribuendo a creare negatività. Gli investitori, a fronte della elevata incertezza, alleggeriscono le posizioni o attuano strategie di copertura del rischio, come l’acquisto di volatilità. Anche posizioni di sovrappeso sul mercato statunitense rispetto a quello europeo fanno parte di queste misure prudenziali, e sono peraltro supportate da una evidente e crescente divergenza sui rispettivi margini di profitto.
Sul mercato valutario, i risultati delle elezioni greche hanno fornito numerosi spunti di riflessione ed analisi, non confortanti. Tra le ipotesi, si va dalla irreversibile liquidazione del sistema dei partiti tradizionali alla comparsa di uno “scenario-Weimar”. L’ascesa delle ali estreme, soprattutto a sinistra, potrebbe essere ulteriormente rafforzata dal sempre più probabile nuovo turno elettorale, che si terrebbe a giugno. Dato il programma di tali formazioni, che prevede nazionalizzazioni e moratoria sul debito, il rischio è quello di una reazione a catena che porti all’uscita o alla espulsione del paese dall’euro. Un governo centrista ad Atene, per contro, potrebbe tentare di rinegoziare gli accordi con la Troika. Nel primo caso il cambio euro-dollaro rischierebbe forti pressioni ribassiste e marcato aumento di volatilità, legati alla reintroduzione della dracma, mentre nel secondo caso potrebbe recuperare il livello di 1,30 intorno al quale staziona da molti mesi.
Altra settimana di diffusi ribassi per le materie prime, a cui hanno contribuito sia il nuovo episodio acuto della crisi dell’Eurozona che i deboli dati cinesi. Di rilievo il forte ribasso del petrolio nelle ultime due settimane, colpito dai rischi europei ma anche dalla possibilità che le tensioni mediorientali legate all’Iran possano rientrare per via diplomatica, con conseguente ritorno sul mercato del greggio di Teheran.