Ieri sera, intervenendo a l’Infedele di Gad Lerner, il professor Paolo Savona ha avuto l’opportunità di ribadire il tema che più gli è caro: l’uscita dell’Italia dall’euro. La cosa di per sé non farebbe molta notizia: il numero di quanti invocano il ritorno alla lira è in costante crescita. Se non fosse che Savona non è uno qualunque ma un accademico con decenni di esperienza. Che purtroppo cominciano a farsi sentire.
Oltre ad esprimere l’assoluto convincimento che “un piano B deve esistere, non è possibile che non esista, me lo ha detto anche Tremonti lo scorso anno”, Savona ha affrontato anche il problema del caos che conseguirebbe ad una uscita dalla moneta unica. Ammettendo, bontà sua, che il rischio esiste, e proprio per questo suggerendo la necessità di trovare sponde internazionali per superarlo. Sponde che Savona ritiene di intravvedere negli Stati Uniti e (udite, udite) nella Cina. Ora, possiamo anche capire l’eventuale ruolo degli americani in caso di crisi rovinosa per il nostro paese. In fondo, siamo un membro della Nato (così come lo è la Grecia, peraltro), pur se ampiamente decaduto quanto a criticità geostrategica. Ma la Cina, come potrebbe mai aiutarci?
Non pago di queste levate d’ingegno, Savona si è poi dedicato all’analisi della grave crisi spagnola. Tema introdotto da Lerner con un bello sfondone dei suoi: “la settimana scorsa vi avevamo detto che Bankia necessitava di capitali per 19 miliardi. Ebbene, oggi il patron del Santander, Emilio Botin [quello specialista nel vendere banche a prezzi stratosferici a tronfi gonzi italiani, ndPh.] ha detto che servono 40 miliardi”. In realtà, quella cifra era riferita al sistema bancario spagnolo nel suo complesso, ma transeat.
Savona ha immediatamente chiosato: “quelli sono i soldi dei depositi che escono dalla Spagna, per dirigersi soprattutto verso la Germania”. Come sia possibile scambiare per capitale quello che è un deflusso di liquidità, è un mistero che solo Savona potrebbe risolvere. Ben più triste il fatto che nessuno, in studio, abbia sentito l’esigenza di chiederlo al professore. Ma forse nessuno ha fatto caso alla castroneria, oppure proprio mancavano le basi.
Anche da parte dello stesso Lerner, che di solito costruisce le sue argomentazioni su alcuni capisaldi: la patrimoniale, la decrescita (infatti c’era pure un cammeo delle farneticazioni di Serge Latouche), una spruzzata di “finanza cattolica” ché non guasta mai, e di sale un pizzichin. Neppure la presenza dell’eroico Franco Debenedetti è servita a rimettere la barca in linea di galleggiamento. Ma forse a certi livelli contano soprattutto le convenzioni sociali e l’esigenza di non creare imbarazzi a persone che si conoscono da sempre, facendo loro notare le sciocchezze che proferiscono.
La situazione è sempre più grave, ma sempre meno seria. Anche e soprattutto nel teatrino dei talk show politici.