In un editoriale pubblicato ieri sul Sole 24 Ore, il professor Luigi Zingales elabora una strategia “fai da te” (cioè alternativa agli improbabili eurobond) per rendere sostenibile il nostro debito. Abbiamo qualche dubbio che la soluzione proposta funzionerebbe.
La premessa di Zingales è che l’Italia ha un “debito difficilmente sostenibile”. Che poi è quello che su questi pixel si sostiene da alcuni anni (il paese che divorò se stesso, ricordate?). Il docente della Booth School of Business della Università di Chicago fa due conti:
«Con un tasso di interesse reale sul debito pubblico che si aggira intorno al 4% e un tasso di crescita vicino allo zero, noi abbiamo bisogno di un avanzo primario del 4,8% solo per non far esplodere il debito»
Il 4,8 per cento di avanzo primario si ottiene partendo dal 4 per cento di interesse reale e considerando che il nostro rapporto debito-Pil è attualmente al 120 per cento circa. Anche di questo, cioè della traiettoria esplosiva del rapporto debito-Pil quando il costo del debito eccede il tasso di crescita, vi abbiamo dato conto, negli anni. Questo tasso d’interesse reale stratosferico deriva dal fatto che gli investitori internazionali stanno lasciando il nostro paese, cioè lo stanno prosciugando. Aggiunge Zingales:
«Anche se il tasso di interesse reale si attestasse su livelli più normali (diciamo un 2% reale) l’avanzo primario dovrebbe essere del 2,4%. Per ottenere questo avanzo primario medio, il target deve essere almeno del 4%, per compensare i peggioramenti durante le recessioni. Possiamo credibilmente sostenere questo avanzo per i prossimi trent’anni? Ne dubito. E così ne dubita il mercato»
Infatti. E quindi? Ovviamente la soluzione migliore sarebbe tornare a crescere, come anche lo stesso Zingales indica, scordando tuttavia di precisare che un paese costretto a fare manovre per 6 punti percentuali di Pil in un biennio non potrebbe crescere nemmeno se fosse guidato dal Padreterno in persona. C’è tuttavia una considerazione fondamentale, da parte di Zingales: la demografia ci sta pesantemente giocando contro:
«Ma dobbiamo tenere in conto che il declino di natalità e l’invecchiamento della popolazione creano un declino tendenziale del Pil di mezzo punto percentuale l’anno. Quindi per crescere all’1% dobbiamo avere un aumento della produttività del 1.5% l’anno, quando negli ultimo anni tale aumento è stato pari a zero»
Questo è davvero importante: un paese con una tra le più alte età mediane al mondo è un paese ad altissimo rischio di insostenibilità del proprio elevato stock di debito pubblico, al venir meno della crescita. L’Italia è quel paese.
Per innalzare la produttività nella più classica delle modalità supply-side, Zingales ribadisce la necessità di un enorme piano di dismissioni, ipotizzando: a) che vi siano compratori (pur ammettendo che i tempi non sono propizi) e b), che tali compratori privati riescano ad impiegare in modo effettivamente più produttivo del pubblico gli asset dismessi. A parte ciò l’alternativa, sempre secondo Zingales, sarebbe un piano di ristrutturazione del debito. Servirebbe un concambio dei nostri titoli di stato, occhio al corsivo (nostro):
«Quando le imprese non riescono a sostenere il proprio debito, lo ristrutturano. E quando la maggior parte del loro debito sono obbligazioni lo fanno attraverso delle offerte di scambio. Per riuscire, queste offerte devono promettere a chi scambia qualcosa in più in cambio di una riduzione del valore nominale del debito. In genere il qualcosa in più è una priorità nei pagamenti»
«Lo stesso potrebbe fare l’Italia. Potrebbe offrire a chi scambia un debito emesso secondo la legge inglese e come tale non ridenominabile in lire in caso di fine dell’euro, con una priorità assoluta su un cespite delle entrate, diciamo il gettito dell’Iva. Queste condizioni renderebbero il debito emesso molto più garantito e quindi permetterebbero un tasso di interesse reale di gran lunga inferiore. Di fatto questo debito avrebbe priorità su quello esistente, rendendo molto pericoloso per gli attuali creditori non scambiare il loro debito con quello di nuova emissione»
Alcuni problemi. Uno filosofico: uno stato sovrano non è un’impresa. Poi, il cambio di giurisdizione dei nostri titoli di stato da italiana a inglese non è condizione sufficiente per ridurre i timori degli investitori: anzi, se la situazione precipitasse ed il paese uscisse dall’euro per tornare ad una valuta più debole, la tentazione di ripudiare il debito denominato in euro sarebbe ancora più forte, o meglio sarebbe azione pressoché obbligata. Poi, il tipo di titoli concambiati: sarebbero dei bond secured, cioè garantiti dal gettito d’imposta, nella fattispecie Zingales suggerisce quello Iva. Questa proposta è simile a quanto ipotizzato per ridurre il costo del debito per le regioni autonome spagnole. Da qui, Zingales ritiene che la natura privilegiata di questo credito permetterebbe di ridurne il costo:
«Per questo lo scambio potrebbe avvenire non alla pari: l’obiettivo (possibile) sarebbe di far scambiare vecchio debito del valore nominale 100 con nuovo debito col valore nominale di 83 centesimi. Questo basterebbe a ridurre il debito sul Pil al di sotto del 100% e metterebbe in sicurezza il paese da ogni crisi di fiducia derivanti da eventuali crolli di Grecia e Spagna»
Qui purtroppo il ragionamento diventa improvvisamente debolissimo. Intanto, non sta scritto da nessuna parte che un bond secured (da gettito fiscale) anziché unsecured “valga” uno sconto monstre del 17 per cento sul valore nominale. Lo sconto, per uno stato sovrano in crisi fiscale conclamata, potrebbe anche essere nullo a prescindere dalla segregazione di flussi monetari al servizio del debito, ed una operazione del genere perderebbe quindi significato. Inoltre, visto che stiamo ipotizzando che il paese continui a non crescere, abbattere il rapporto debito-Pil sotto il 100 per cento servirebbe solo a comprare tempo, e neppure molto. La “crisi di fiducia” ritornerebbe piuttosto rapidamente. I suggerimenti di Zingales, quindi, sono di matrice marcatamente “aziendalistica”, e come tali mal si attagliano ad uno stato sovrano.
Regge poi ancor meno il controfattuale di questa “ristrutturazione”, applicato al caso della Grecia:
«Se nel 2010 la Grecia avesse fatto un’operazione simile si sarebbe risparmiata molte delle sofferenze attuali, facendo gravare parte del peso della ristrutturazione sui creditori esteri. Aspettando due anni e permettendo ai creditori esteri di rientrare dai loro investimenti, la Grecia oggi si trova in una situazione di gran lunga più complicata»
Non è chiaro cosa Zingales intenda con “facendo gravare parte del peso della ristrutturazione sui creditori esteri”. Significa forse, quindi, che il concambio di titoli di stato con altri garantiti da gettito d’imposta è in realtà una ristrutturazione onerosa per i creditori, quindi un default sovrano? Se le cose stanno in questi termini servirebbe specificarlo. Eppure Zingales sembra escluderlo, nel momento in cui ipotizza un concambio di titoli in cui si deve “promettere a chi scambia qualcosa in più in cambio di una riduzione del valore nominale del debito“. E quanto ai “creditori esteri che rientrano dei loro investimenti” nel caso greco, Zingales dovrebbe essere più esplicito: la Grecia è stata messa a cuocere a fuoco lento per permettere alle banche tedesche (e francesi, che però non sembrano averne approfittato troppo) di uscire dall’investimento per tempo.
E quindi? Quindi servirebbe avere un occhio meno distratto alla violenza del consolidamento fiscale ed ai danni potenzialmente irreversibili che esso sta provocando all’economia ed alle banche che ne sono la linfa vitale, prima di lanciarsi in pur interessanti ipotesi di ingegneria finanziaria. Oppure, diciamo si agli eurobond in contropartita di una maggiore e ben più stretta integrazione. Anzi, andiamo oltre: cediamo direttamente il paese alla Germania, chiavi in mano. In questo modo riusciremo a salvarci la borsa e la vita, ed i tedeschi avranno almeno una infrastruttura economica vitale da utilizzare e rilanciare, in luogo di un cumulo di macerie fumanti. Che dite, affare fatto?