Interessante intervista de l’Unità all’ex ministro delle Finanze (e molti altri incarichi ministeriali), Vincenzo Visco. Che critica la “bacchetta magica” del Pdl sulla riduzione del debito.
Oggetto del contendere è la proposta agostana di Angelino Alfano e del Pdl sulla riduzione della pressione fiscale attraverso creazione di un fondo a cui conferire patrimonio immobiliare pubblico “da valorizzare”. Tale fondo dovrebbe in seguito emettere obbligazioni presso investitori italiani e stranieri, in modo tale da consentire di incassare “15-20 miliardi di euro l’anno” e ridurre la pressione fiscale di un punto percentuale l’anno per cinque anni.
Non riusciamo tuttavia a comprendere perché creare un fondo immobiliare chiuso (perché di questo si tratta) e fargli emettere debito anziché azioni, quotandolo, oltre al fatto che finanziare con entrate straordinarie una riduzione delle imposte è frutto di purissimo analfabetismo fiscale, che segnala un altrettanto pericoloso avventurismo. Oltre ovviamente a non comprendere perché questa operazione non è stata fatta durante i lunghi anni di governo del Pdl, durante i quali peraltro non eravamo in guerra e potevamo magari spuntare condizioni di mercato lievemente migliori delle attuali.
Obiezioni analoghe se le pone anche Visco nell’intervista, cogliendo anche l’occasione per smitizzare la celeberrima “patrimoniale straordinaria” che in moltissimi sognano ad occhi aperti, dentro lo stesso Pd, anche come modo per lanciare un ponte verso la demagogia vendoliana e della sinistra sindacale. E’ opportuno segnalare, detto per inciso, che anche il presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini, ha messo in guardia dalle sirene della patrimoniale straordinaria nel corso di un’intervista di qualche giorno addietro.
Tornando a Visco, per lui patrimoniale straordinaria ed operazioni magiche di finanza straordinaria sono di fatto la stessa cosa:
«Insomma, ci sono state almeno una trentina di proposte tutte basate su un equivoco di fondo: che basti dare una botta e la soluzione arriva. Poi non si capisce bene chi se la deve prendere, questa botta. Dietro a questa impostazione c’è l’illusione di evitare le sofferenze del rigore di bilancio. Ma purtroppo non è così. Un’imposta straordinaria alla fine peserà su tutti, costringe i proprietari a vendere immobili e titoli, sottraendo risorse all’economia reale»
Sull’operazione di Alfano:
«Parla di cessione di asset, ma la logica che sta dietro è la stessa. Si pensa che l’Italia non possa permettersi un avanzo primario e quindi che è meglio privatizzare, vendere patrimonio e finirla lì, magari piazzando nelle mani di ignari cittadini titoli rappresentativi di questi asset, che si deprezzerebbero un minuto dopo, trasformandosi in una patrimoniale»
Visco non spiega perché ciò dovrebbe accadere, ma evidentemente sottintende che tali titoli di debito sarebbero mispriced, cioè emessi a condizioni fuori mercato. E qui ci corre l’ obbligo di un altro inciso. Collocare titoli di debito (discorso analogo per le azioni, ma non mettiamo troppa carne al fuoco) esclusivamente presso residenti, magari farfugliando che in tal modo arriveremmo a “ricomprarci il debito” e divenire padroni del nostro destino, significa in realtà indurre i residenti a sbarazzarsi di altri attivi per recuperare i soldi per comprare il nuovo titolo. Di quali soldi si tratterebbe? Forse depositi bancari? Ma così facendo si arriverebbe a spiazzare impieghi domestici. In pratica, l’operazione avrebbe successo solo se priva di spiazzamento, cioè se i nuovi titoli fossero comprati da non residenti oppure da residenti ma con proventi di disinvestimenti di attività estere, non certo domestiche. Chiuso anche questo inciso.
Visco ritiene inoltre che sia comunque velleitario pensare ad incassare in un colpo solo 400 miliardi, e qui la cosa si fa molto interessante:
«Perché del patrimonio alla fine c’è poco da vendere. Il patrimonio demaniale arriverà a circa 50 miliardi. Il grosso è quello delle regioni ed enti locali (circa 3400 miliardi), ma in gran parte si tratta di beni strumentali come ospedali, manicomi, giardini. Una vera mappatura di questi beni non esiste (a differenza del demanio, che ha avviato una catalogazione promossa proprio da Visco, ndr.). Inoltre spesso vendere non conviene. Quando sono tornato al governo ho riacquistato il palazzo della Sogei perché pagavamo un affitto superiore al mutuo per l’acquisto. Le cifre che circolano rappresentano valori potenziali di mercato. Senza contare che per cedere patrimonio bisogna trovare acquirenti, creare fondi immobiliari, cambiare normative. Ci vuole tempo»
Quello è il punto. A meno di credere davvero che, con questi corsi azionari, il governo italiano pensi di cedere Enel, Eni e Finmeccanica, serve una soluzione-ponte. Allo stesso modo, appare piuttosto improbabile pensare a delle operazioni di “sale and lease back” per gli ospedali. Potrebbe essere utile aumentare la redditività delle concessioni di beni demaniali, ma pare che anche solo recuperare risorse dagli stabilimenti balneari in applicazione della direttiva Bolkestein sia opera piuttosto improba. Al di là di ciò, c’è un generale motivo per essere alquanto scettici sulle ipotetiche virtù taumaturgiche di queste leggendarie dismissioni: la realtà di solito è sempre più perfida degli slogan. Fermo restando che la proposta del Pdl, in questi termini, appare l’ennesima turlupinatura ad uso e consumo dei gonzi che pensano che esista sempre una scorciatoia a tutto, nella vita. Infatti, lo abbiamo visto negli ultimi anni.
Che fare, quindi? Diciamo che servirebbe evitare di contrarsi per anni sotto il peso di manovre di correzione che servono a permettere ai tedeschi di dire che siamo dissoluti e non facciamo i compiti a casa, ma quello è altro discorso. Visco parla inoltre di necessità di una “politica industriale”: non sappiamo a cosa di riferisca, ma questa frase puzza di antica muffa dirigista. Per il momento, facciamoci bastare il no alla patrimoniale straordinaria. Un giorno non troppo lontano potremmo scoprire sulla nostra pelle che gli antichi esponenti ex-Pci sono comunque migliori delle nuove leve e del loro inquietante analfabetismo economico.