Con assai scarso entusiasmo, proviamo a rispondere a due rilievi al post sulle tranvate di Niall Ferguson, entrambi provenienti dallo stesso sito. Riguardo il primo, poco da dire: si tratta di uno sgangheratissimo tentativo di buttarla in caciara senza avere gli attributi per chiamare per nome e cognome l’interlocutore. In esso non esiste peraltro alcun tentativo di confutazione nel merito ma la cosa non colpisce più di tanto, avendo l’estensore del pezzo reiteratamente confessato la propria ignoranza in materia economica. La cosa era del tutto evidente ma repetita iuvant, come direbbero a Ladispoli.
Allora, riproviamo: con Reagan il debito federale in rapporto al Pil è aumentato, il deficit-Pil nell’ultimo anno di mandato era superiore a quello di inizio mandato, e l’incidenza della spesa su Pil è rimasta in larga misura inalterata. Tutto questo non è colpa di chi lo fa notare, fino a prova contraria, così come sarebbe utile prendere atto che ai tempi di Ronnie non eravamo nel mezzo della peggiore crisi finanziaria mondiale dagli anni Trenta ad oggi. Esiste un evidente conflitto tra miti e leggende da una parte e dati di fatto dall’altra. Che vogliamo fare? Come minimo, don’t shoot the messenger, men che mai con attacchi ad hominem che indicano solo l’ottusità di chi li compie, oltre ad esporre al rischio di una robusta ricompensa con egual moneta.
Altra critica, più o meno nel merito: solo due errori, in un editoriale di cinque pagine? No, ce ne sono anche moltissimi altri, come molti altri Ferguson ne produce ogni volta che si avventura in ambito economico per dimostrare che Obama porterà il paese alla distruzione (come con le riserve valutarie cinesi, salvo scoprire che sono i cinesi ad essersi appesi per le parti basse, ma questo è altro discorso) ma ve li abbiamo risparmiati per carità di patria. Sbagliare di un anno il picco nel numero di occupati statunitensi per poter meglio incolpare Obama, peraltro, fa sorgere il dubbio che Ferguson abbia scritto quell’editoriale in stato di alterazione della coscienza. E, come scritto nel nostro post, il mancato fact-checking, oltre che di Ferguson, è soprattutto di Newsweek, perché qui non stiamo parlando della stima econometrica del moltiplicatore fiscale in un anno bisestile ed in assenza di tempeste magnetiche solari, ma proprio di errori fattuali.
Come dire che il sole sorge ad Ovest e proseguire ad argomentare come se nulla fosse, per farci capire dall’autodichiarato ignorante articolista. Il quale, a sua volta, doveva essersi distratto quando, durante il praticantato di giornalismo, gli è stato spiegato che i fatti vanno riscontrati e non “immaginati” o resi verosimili. Anche perché, nello specifico allusivo, il vostro titolare non ha firmato alcun manifesto, di recente, e non ne vede in giro alcuno meritevole di tale impegno.
Sull’altro articolo, scritto da amici, possiamo solo ribadire che gli errori di Ferguson non sono opinabili ma materiali, ed averli rilevati non è certo espressione di purismo o sterile pedanteria. Ci sarebbero peraltro innumerevoli altri esempi di tranvate di Ferguson nell’ambito accademico che gli è proprio, la storiografia, ma quelli li lasciamo ad una prossima occasione. Ed ancora, non si tratta di purismo ma di dati di fatto quando diciamo che le stime dei piani economici di Romney farebbero esplodere deficit e debito americani, quanto e più di quanto fatto da Dubya, l’uomo che ha trasformato in voragine uno storico surplus di bilancio federale. Se si vuole essere conservatori fiscali occorre avere il coraggio di chiamare le cose col loro nome. A meno di trastullarsi con l’ideologia e farlo pure in modo piuttosto demenziale, come nel pezzo dell’ignorante confesso. Ancora una volta, don’t shoot the messenger.
Su epurazioni e confronti tra l’uomo che ha fatto la storia degli Stati Uniti ed un assai più modesto politico italiano che nulla ha fatto se non dire a voce alta che il reuccio era nudo, poco e nulla da commentare. Ci pare soprattutto un torto verso il Gipper. Ma è tristemente vero che le dissonanze cognitive sono parte integrante della nostra vita di liberisti immaginari della periferia dell’Impero.
UPDATE (in risposta all’update di Andrea Mancia) – Nessun trattamento di favore a Obama, semplicemente (come spiego da anni), questo GOP ha subito una terribile mutazione genetica, in cui le fiabe e la mitologia hanno preso il posto della realtà. E’ un partito sedicente conservatore fiscale, ma tende a produrre proposte di riforma dei conti pubblici che sistematicamente si trasformano in proiezioni di voragini di deficit e debito. Come sostengono personaggi non suscettibili di essere considerati dei pericolosi radical, obiettivo dei Repubblicani è ormai divenuto il taglio sistematico di imposte, non il pareggio di bilancio. E le due cose non coincidono, in alcun modo.
Oggi, la pressione fiscale federale è inferiore al 16 per cento di Pil, minimo da un sessantennio. La spesa su Pil è di circa tre punti percentuali superiore alla media storica, ma sarebbe opportuno considerare che operano gli stabilizzatori automatici (food stamps, sussidi straordinari di disoccupazione), per effetto di una crisi che non è passata, in alcun caso. Questi sono dati, da questo bisogna partire.
Perché Obama, quindi? Perché è il minore dei mali ed il soggetto più fiscalmente conservatore oggi tra i candidati alla presidenza. Su Solyndra e sulla propensione obamiana a promuovere la fumosa green economy, i numeri non mi pare indichino imponenti devastazioni di bilancio federale. Non sarebbe nemmeno possibile, per noti motivi di maggioranze al Congresso. E sarebbe fin troppo facile ricordare ad Andrea (e non solo a lui) che oltre a Solyndra c’è anche il flop di un’altra società del solare sussidiata dai pubblici poteri: la Konarka, a suo tempo foraggiata dall’amministrazione Repubblicana del Massachusetts, guidata da tal Mitt Romney, e finita poi in liquidazione. Su Newsweek: la copertina su Romney mi era sfuggita, anche se a livello epidermico non vedo scandalo di contenuti paragonabile a quello di un prestigioso accademico scozzese che vede stimoli fiscali nell’assunzione dei rilevatori del censimento o che falsifica in modo maldestro i dati del CBO o altera gli anni di picco dell’occupazione per sostenere la propria tesi. Perché questo non è un Gasparri qualunque, ma è il signor Niall Ferguson.
In estrema sintesi: il giorno in cui Obama, numeri alla mano, diverrà il socialista di cui narrano le caricature della Right Nation, sarò il primo a stigmatizzarlo, prendendomi regolarmente gli insulti dei liberal di casa nostra. Allo stesso modo, di un’eventuale Amministrazione Romney che risanasse il bilancio federale, numeri alla mano, direi solo che bene. Nel frattempo, la linea di condotta resta sempre quella: in God we trust, all others must bring data, e principio di riduzione del danno (fiscale). E’ la metodologia che discrimina tra supporter ed osservatori esterni: io sono, ed intendo restare, parte del secondo gruppo.
(MS)