Argentina, a tutta velocità verso un muro di cemento armato

I conti pubblici argentini sono in continuo peggioramento. Secondo gli ultimi dati ufficiali, la spesa primaria (cioè al netto degli interessi) è decelerata a settembre al tasso di crescita del 20 per cento annuale, contro una media dei primi nove mesi dell’anno pari al 31 per cento. Sarebbe una buona notizia, se non fosse che il gettito fiscale sta frenando più della spesa, ed in settembre è cresciuto di solo il 18 per cento annuale.

Il governo di Buenos Aires sta frenando soprattutto il trend di crescita di salari pubblici e trasferimenti al settore privato, inclusi sussidi su energia e trasporti. Non a caso questo colpo di freno sta contribuendo ad alimentare un crescente malumore sociale che sempre più di frequente trova rappresentazione nel cacerolazo. Il governo centrale sta inoltre scaricando sulle province il costo dell’aggiustamento, come mostra il sostanziale azzeramento dei trasferimenti locali in conto capitale.

E poiché la crisi s’avanza, ecco che il gettito fiscale frena: in settembre a più 17 per cento annuale, contro il più 24 per cento dei primi tre trimestri dell’anno. Particolarmente colpite le entrate Iva e da transazioni finanziarie. Anche il gettito fornito dalle imposte sull’export è in calo, di riflesso alla continua contrazione del commercio estero causata dai feroci controlli sull’import, per sopprimere la domanda di dollari. Sapete com’è, quando si soffoca l’import anche l’export segue a ruota: simul stabunt, simul cadent. Ma troppo difficile da capire, per la banda di demagoghi dilettanti che “guida” l’Argentina in questi anni.

Per contrastare il costante deterioramento dei conti pubblici, il governo continua a mungere l’ectoplasma di banca centrale che l’Argentina ormai si ritrova, oltre a saccheggiare i fondi dell’agenzia della previdenza sociale, quelli che dovrebbero servire a pagare le pensioni. Peccato che usare fondi della banca centrale per colmare buchi di bilancio tenda a sradicare il valore della moneta, a lungo andare, perché questa è monetizzazione diretta del deficit in una economia i cui aggregati creditizi crescono ancora a passo discreto. Quindi evitate di fare paragoni assurdi con quanto sta facendo la Bce o la Fed.

E a proposito di credito,  il Banco Central de la Republica Argentina corre in soccorso del governo anche in un altro modo, potenzialmente ancora più pericoloso: quello della vigilanza bancaria. E lo fa allentando significativamente i requisiti patrimoniali delle banche commerciali del paese, in termini di ponderazione per il rischio, cioè del capitale che le banche devono possedere per poter concedere credito. A partire dal prossimo primo gennaio, infatti, saranno ridotti i coefficienti di rischio su alcune tipologie di impieghi. Ad esempio, i prestiti a famiglie e PMI passeranno da ponderazione 100 a 75 per cento. L’accantonamento di capitale su mutui scende dal 50 al 35 per cento. Scende anche l’accantonamento richiesto per prestiti in sofferenza, purché ci sia un aumento compensativo degli accantonamenti a perdite su crediti.

In linea con le disposizioni di Basilea II, i prestiti in pesos alle amministrazioni pubbliche avranno ponderazione zero, mentre oggi ce l’hanno al 100 per cento. Questo significa, in altri termini, che le banche commerciali che concedono prestiti allo stato non dovranno più accantonare capitale a “protezione” e “garanzia” di tali prestiti, mentre fino ad oggi dovevano accantonare come capitale l’importo completo del prestito. Anche quelli tra voi che non sono esperti di banca  avranno intuito che questa misura servirà per convogliare fondi verso il settore pubblico e ridurre l’utilizzo della banca centrale come tipografia per colmare i buchi che si aprono nel bilancio pubblico. La foglia di fico è data dal mantenimento del tetto del 35 per cento degli impieghi bancari totali verso il settore pubblico, che oggi tuttavia sono pari a solo il 10 per cento. Le banche argentine dovranno continuare a disporre di capitale rispetto agli impieghi ponderati per il rischio in misura doppia rispetto al precetto di Basilea II: il 16 per cento in luogo dell’8 per cento. Ma è evidente che, cambiando la ponderazione, è possibile prestare moltissimi fondi in più di oggi.

Quindi, in sintesi: il governo tenta di stringere sul deficit, ma il deficit deborda comunque. Gli oneri si trasferiscono sulla periferia, causando proteste sociali crescenti. La banca centrale stampa allegramente, e consente alle banche commerciali di prestare molto di più che in passato a stato e privati, per cercare di alimentare col credito l’andamento di una economia che sta per andare in frantumi a causa di dirigismo e ultra-protezionismo valutario. Ma, come ben sappiamo noi occidentali, tenere in vita la congiuntura agevolando il debito è la ricetta sicura per la catastrofe, soprattutto in un paese che ha una spiccata tendenza a manipolare i dati economici e spaccare il termometro per non vedere quanto è salita la febbre.

Aspettiamoci gravi conseguenze per l’Argentina e gli argentini, e neppure tra troppo tempo.

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