La presidente argentina Cristina Kirchner ha “esortato” il sistema bancario nazionale a prestare (meglio sarebbe dire “devolvere”), il 5 per cento della propria base di depositi al sistema delle imprese a tassi agevolati, attesi intorno al 15 per cento (a fronte di una inflazione effettiva stimata intorno al 25 per cento). Una cosa che susciterebbe/susciterà entusiasmo tra gli analfabeti di casa nostra. Ma c’è qualche controindicazione, appena un pochino.
Oltre all’evidenza palmare che si tratta di prestiti “a perdere”, in prima battuta per differenziale di tassi, il problema è che si tratta della seconda iniziativa del genere, nel giro di pochi mesi, facendo seguito all’altra “devoluzione” di un altro 5 per cento dei depositi lo scorso luglio. Se la frequenza di queste iniziative dovesse aumentare, in parallelo all’approfondirsi della crisi del paese, le banche argentine si troverebbero rapidamente erosa la base di capitale, sia per il fatto che “regalano” soldi, sia perché queste erogazioni finirebbero con l’avere verosimilmente un elevato tasso di default. A quel punto, la banca centrale argentina dovrebbe correre in soccorso degli istituti, magari ricapitalizzandoli più o meno direttamente, e finirebbe con l’aggiungere questa attività a quella di più o meno diretta monetizzazione del deficit del paese.
E mentre il paese diventa sempre meno competitivo, sotto il peso di politiche economiche prive di senso, che causano penuria di dollari e fuga di capitali, che causa a sua volta nuove misure di stretta che ostacolano il commercio estero e così via, ecco che, per sostenere gli investimenti, il governo ordina alle compagnie assicurative di destinare a progetti infrastrutturali un importo compreso tra il 10 ed il 25 per cento dei propri investimenti, secondo “priorità” rigorosamente decise dall’esecutivo (e da chi altri, sennò?).
Anche questo finirà male, nel campionario infinito degli errori ed orrori di quella che appare ormai come la caricatura di una politica pubblica. Finché il prezzo della soia reggerà sui mercati internazionali, l’Argentina potrà tentare di sopravvivere. Lo stesso potrebbe accadere anche in caso di reperimento degli enormi capitali (internazionali) necessari per sviluppare l’enorme campo di shale oil di Vaca Muerta, ammesso e non concesso che Repsol non persegua sistematicamente chiunque faccia affari con la neo-nazionalizzata YPF, e che gli investitori internazionali ritengano credibile sul piano reputazionale un governo come quello argentino attuale.
Ma resta la realtà di un paese che sembra governato da un gruppo di ubriachi cocciutamente avversi alla realtà, che forse proprio per questo motivo esercitano una irresistibile fascinazione sulle frange della politica italiana più oniricamente dotata.