Argentina, sempre più prigione valutaria

Poiché è da qualche tempo che non ne parliamo, riteniamo utile aggiornarvi sulle ultime imprese valutarie del governo argentino, che come noto sta disperatamente cercando di frenare a mani nude quello che appare come un inesorabile calo di riserve valutarie. Questa volta la stretta è sui prelevamenti di dollari effettuati all’estero a mezzo carta di credito.

Dopo che il dato di aprile della bilancia commerciale ha mostrato l’ennesima erosione del surplus, la banca centrale argentina e le società emittenti di carte di credito hanno raggiunto un accordo per nuovi draconiani limiti sui prelievi valutari all’estero a mezzo carta di credito. I nuovi limiti sono pari a 100 dollari al trimestre (avete letto bene, cento dollari a trimestre) per gli argentini che viaggiano nei paesi vicini, ed 800 dollari al mese per tutti gli altri paesi. Il maggiore rubinetto aperto, in termini di deflussi valutari “turistici”, sinora erano infatti i viaggi in traghetto da Buenos Aires a Colonia, in Uruguay (durata un’ora), che consentivano agli argentini di prelevare dollari al cambio ufficiale a mezzo di carta di credito.

Un vero affare, malgrado la commissione da taglieggiamento al 20 per cento. Infatti il cambio ufficiale è di 5,3 pesos per dollaro, mentre al mercato nero il rapporto è intorno a 9 pesos per un dollaro. A mali estremi, eccetera eccetera. Malgrado questi continui giri di vite, l’Argentina perde costantemente valuta: nel quarto trimestre 2012 il deflusso (secondo i dati  ufficiali della banca centrale, sui quali è lecito nutrire qualche dubbio) è stato di circa 1,5 miliardi di dollari, dopo i meno 1,7 miliardi del terzo trimestre.

Malgrado il buon andamento delle esportazioni agricole, l’import appare in un trend ascendente a causa dell’inarrestabile perdita di competitività del paese, mentre l’incessante ed ormai grottesca stretta sulle transazioni valutarie non fa che mettere pressione al cambio nero del peso, innescando circoli viziosi.

Nel frattempo sei sigle sindacali, in rappresentanza del 40 per cento dei lavoratori, hanno ottenuto aumenti salariali medi per il 2013 di circa il 24 per cento, il che indirettamente “suggerisce” dove potrebbe trovarsi l’inflazione effettiva del paese. In parallelo, anche i conti pubblici continuano a deteriorarsi: nel primo trimestre di quest’anno il deficit pubblico è aumentato dell’11 per cento rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno. Il 2012 è stato anche l’anno di un altro record negativo: quello del primo deficit primario (in cui la spesa pubblica, al netto di quella per interessi, eccede le entrate) dal 1996. Anche la dinamica dei grandi aggregati di finanza pubblica appare in costante deterioramento: la spesa corrente ha “frenato” nel primo trimestre, con un incremento tendenziale del 26 per cento (anch’esso in linea con le stime di inflazione effettiva), rispetto al più 34 per cento del primo trimestre 2012. Ma il gettito fiscale frena maggiormente, a causa del progressivo blocco dell’economia del paese: da qui l’ampliamento del deficit, che il governo puntella ricorrendo a “prestiti” da parte della banca centrale (che in realtà sono monetizzazioni di deficit) e sequestro di fondi della previdenza sociale, finché ve ne sono.

Quello argentino sarà un crack al rallentatore, nella misura in cui l’andamento dei prezzi mondiali delle materie prime, soprattutto agricole, permetterà al paese di frenare il deflusso di valuta. In parallelo, tuttavia, proseguiranno i vincoli all’utilizzo di dollari, fino a giungere a restrizioni alle libertà civili, di questo passo. Ma questo resta pur sempre il paese modello di molti analfabeti arruffapopolo italiani, quindi vale la pena mettersi comodi e godersi lo spettacolo.

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