Questa volta (non) è differente

Nel grande stagno della politica italiana, quello che bagna la nostra foresta di parole pietrificate, c’è un topos ricorrente, che carsicamente affiora ad illudere le folle e sovraeccitare i retroscenisti dei nostri giornali. Edificato sul piedistallo che recita “pagare tutti, pagare meno” (sinché sindacato e social-termiti non ci separino), parliamo del mitologico “fondo per la riduzione delle tasse”. Il grande collettore della giustizia sociale e di minori tasse, le lenzuola a cui gli italiani stanno impiccandosi nei loro sogni, un attimo prima del duro risveglio fatto di nuove tasse.

Oggi quindi apprendiamo che il governo Renzi starebbe studiando l’ennesima riedizione del fondo taglia-tasse, ma questa volta sarebbe differente rispetto al passato. Che accadeva, quindi, nel passato? Cose di questo genere:

Partirà nel 2013 il Fondo per la riduzione della pressione fiscale, che sarà finanziato attraverso la lotta all’evasione. Lo prevede un emendamento alla legge di Stabilità presentato dai relatori, Pier Paolo Baretta (Pd) e Renato Brunetta (Pdl). L’emendamento prevede che a partire dal 2013 il Def dovrà contenere una valutazione dell’anno precedente delle ”maggiori entrate strutturali derivanti, in termini permanenti, dall’attività di contrasto all’evasione fiscale. Le maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento dell’equilibrio di bilancio e alla riduzione del debito, confluiscono in un fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e sono finalizzate al contenimento degli oneri fiscali gravanti sulle famiglie e sulle imprese, secondo le modalità di destinazione e di impiego indicate nel medesimo Def”. Nel Fondo, inoltre, dovranno affluire anche ”parte delle risorse derivanti dalla riduzione della spesa per interessi sul debito pubblico, nonché delle ulteriori maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale e contributiva non previste dal Def”. Ogni anno il ministero dell’Economia dovrà presentare, in allegato alla nota di aggiornamento del Def, un rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto dell’evasione fiscale e contributiva. Il rapporto dovrà inoltre indicare ”le strategie per il contrasto dell’evasione fiscale, con l’aggiornamento e il recupero di gettito fiscale e contributivo attribuibile alla maggiore propensione all’adempimento da parte dei contribuenti” (10 novembre 2012)

Fantastico, vero? Lotta senza quartiere all’evasione fiscale, aumenta la compliance, il gettito va su, il fondo si gonfia, le tasse calano. Salvo, come detto, vedere levarsi all’orizzonte qualche ditino equo e solidale indicare il tesoretto e denunciare l’insostenibile iniquità (di ogni tipo) a cui qualche categoria meritevole di “risarcimento” sarebbe sottoposta. L’idea non era affatto nuova nel 2012, fu Romano Prodi anni prima a darle compiutezza, con il bello slogan della “quattordicesima” per i nostri connazionali più sfortunati.

Il fondo taglia tasse è carsico: ad intervalli regolari assurge agli onori delle cronache, per poi essere disciolto nell’acido della realtà. Anche il governo di Enrico Letta provò ad evocarlo dall’Oltretomba fiscale, e lo collocò nella cornice della Legge di Stabilità 2014,

«[…] alimentato da risparmi di spesa derivanti dalla Spending review e da entrate derivanti dalla lotta alla evasione, finalizzato già nel 2014 alla riduzione del costo del lavoro»

Bei tempi, ricordate? Erano i tempi della cornucopia della spending review. Non passava giorno senza che telegiornali, talk politici e programmi di “approfondimento” non ci deliziassero con questo tema. Cosa vuoi per Natale? Un trenino elettrico! Bene, lo avrai con la spending review, figliolo. C’è altro? Purtroppo, la reincarnazione del fondo ebbe vita grama ed inconcludente, e finì sotto l’eutanasia degli accordi con Bruxelles, quando il nostro paese, sotto la spinta del suo giovane ed energetico premier, andava a battere i pugni per sforare il deficit, anzi no, per farne un pochino di più, ed alla fine dovette rompere il maialino del fondo taglia-tasse ed usare gli oltre 3 miliardi in esso contenuti per fare quello che sappiamo.

Oggi, il giovane ed energetico premier ci riprova, ed ha già provveduto a fare arrivare alla stampa i dettagli dell’audace operazione. Perché questa volta è differente, lo sapete. E, come informa oggi Mario Sensini sul Corriere, sta per nascere

Un Fondo per la riduzione della pressione fiscale alimentato non più come oggi dagli «spiccioli», ovvero quel poco che ogni anno si considera recuperato all’evasione in modo permanente, poche centinaia di milioni, ma miliardario.
In quel serbatoio confluiranno, infatti, tutte le entrate derivanti dal contrasto all’evasione fiscale, ma anche quelle dovute al miglioramento dell’adempimento spontaneo dei contribuenti e tutti i risparmi relativi alla revisione delle «tax expenditures», le agevolazioni e gli sconti fiscali. Il Fondo potrebbe così tranquillamente raggiungere ogni anno una dotazione di una ventina di miliardi di euro (solo di evasione se ne recuperano 14) che sarebbero tutti vincolati alla riduzione della pressione fiscale.

Soldi veri, signora mia, mica come in passato. Questa volta il maialino sarà “miliardario”, e si alimenterà di recupero di evasione (celo), aumento della compliance, cioè dell’adempimento spontaneo dei contribuenti (celo), e nientepopodimenoche (rullo di tamburi) della revisione delle tax expenditures, ta-taaaa! Cioè del maggiore gettito derivante dalla eliminazione di alcune agevolazioni fiscali. Che, quindi, sarebbe redistribuzione, non taglio netto di imposte, ma è una minuzia. Se vi sembra che questa sia la copia carbone degli annunci degli ultimi anni, è perché non riuscite a cogliere la vibrante determinazione sottostante a questo annuncio. E se ve ne uscite dicendo che il taglio delle tax expenditures è destinato a ridurre il deficit e non le tasse a qualcun altro rispetto ai beneficiari originari, siete dei disfattisti che non vedono la differenza col passato. Prendete esempio da Mario Sensini, ad esempio: a lui non è venuto certo in mente di scrivere che questa è una minestra irrancidita e riscaldata sul fuoco delle promesse elettorali che sfruttano la memoria da pesce rosso degli elettori italiani. Perché un giornalista non deve avere memoria storica, né azzardarsi ad unire i puntini del disfattismo. Perché questa volta è differente, e chi non salta gufo è.

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