Sembrava uno dei tanti boatos agostani, quello lanciato sabato scorso dal Sole: l’aumento di capitale da 5 miliardi di MPS è eccessivo, serve ridurlo. Per ottenere ciò, si potrebbe proporre la conversione volontaria delle obbligazioni subordinate in azioni, almeno di alcune di esse e per alcune tipologie di investitori (quelli istituzionali, si narra). Pare che la voce avesse qualche fondamento e che di conseguenza ci sia da valutare questo nuovo sub-scenario. Che, a cascata, determina nuove criticità ed interrogativi.
Quello che filtra è che gli advisor avrebbero scoperto che un aumento di 5 miliardi di euro per una banca che capitalizza 700 milioni è un filino esagerato e rischia di non avere risposte entusiastiche, visto che i multipli post aumento richiederebbero una redditività fantascientifica, per essere giustificati. Che fare, quindi? Pare (ribadiamo, pare) che gli advisor abbiano suggerito la conversione in azioni di alcune obbligazioni subordinate, in modo da ridurre l’aumento di 1-1,5 miliardi. Pare che si tratti di quelle in mano agli investitori istituzionali. Il punto resta uno solo: che fare per incentivare questa conversione volontaria? E qui sorgono problemi.
Intanto, parliamo solo dei bond Tier 1, quelli più vicini al capitale, o anche dei Lower Tier 2? E anche del famigerato Upper Tier 2, emesso da Mussari &.c. dopo l’acquisizione di Antonveneta e collocato minuziosamente (in tagli da mille euro) presso il retail? Ma soprattutto, a che prezzo avverrebbe la conversione? Visto che questi bond trattano attualmente a forte sconto sul nominale, la conversione dovrebbe avvenire a premio sul prezzo corrente di mercato. Ad esempio, hai un bond che viene scambiato al 40% del nominale? Io te lo compro al 60% e lo converto in azioni di nuova emissione. Si, ma perché accettare? Che accadrebbe se io, obbligazionista subordinato, non aderissi allo swap?
La risposta è ovvia: che l’aumento di capitale fallirebbe, e l’obbligazionista subordinato finirebbe con tutta probabilità sotto la scure del bail-in, verosimilmente ottenendo molto meno rispetto alla conversione volontaria. Quest’ultima dovrebbe tuttavia interessare tutti gli obbligazionisti subordinati, non solo gli istituzionali, ma il rischio è che, presentando l’alternativa, si inneschi il panico, che si estenderebbe verosimilmente anche ai subordinati di altre banche deboli. Soprattutto, i conti non tornano: se si dovesse partire, come naturale attendersi, dalla conversione dei Tier 1, per MPS parliamo di soli 500 milioni di euro. Immediatamente dopo, seguirebbe l’Upper Tier 2 da poco più di 2 miliardi di euro in portafoglio ai piccoli risparmiatori. Quindi?
Se obiettivo è il “modello greco”, quello in cui alle banche viene chiesto di trovare soldi privati, e in caso negativo si procede a bail-in prima di usare soldi pubblici (nel caso greco quelli dell’ESM), questa è esattamente la strada da seguire. Singolare che l’ipotesi di conversione volontaria del debito subordinato sia esattamente quella del piano presentato da UBS e da Corrado Passera, scartato dalla banca senese ufficialmente perché arrivato fuori tempo massimo.
Qualche considerazione spicciola da parte nostra. A prescindere da questi abbastanza prevedibili spasmi, il dato politico è quello di un premier che, con suprema faciloneria, è andato a vendersi (tre settimane fa, non tre anni addietro) un piano che semplicemente ha tali e tante parti mobili ed incertezze che consiglierebbe un rigoroso silenzio, anche di tipo apotropaico. Ma si sa, Renzi è un ottimista. Purtroppo disinformato.
Come finirà, non è dato sapere. Se si percorre la strada “greca”, vale quanto scritto qui, punto per punto, con l’aggiunta di questa conversione spintanea dei subordinati come ultima chiamata prima del bail-in e dell’entrata di soldi pubblici nella banca. Se invece si punta al piagnisteo italiano, si può leggere quanto scritto oggi da Angelo Baglioni su lavoce.
In pratica, il complotto ai danni dell’Italia si estende: la Germania ha associato alla banda anche il Portogallo, che può salvare una propria banca con soldi pubblici, maestra! Se Baglioni scrivesse in modo più documentato, scoprirebbe che Caixa Geral è pubblica, che le prime misure di ricapitalizzazione pubblica sono del 2012, (cioè ancor prima dell’affermazione del principio del burden sharing) e che in queste settimane si andrà a convertire in azioni un Co.Co bond sottoscritto dal Tesoro di Lisbona quattro anni addietro. Soldi dei contribuenti erano, soldi dei contribuenti resteranno, perdite incluse.
Il punto resta quello: ricapitalizzare banche pubbliche, spesso ma non necessariamente divenute tali durante la crisi, tende ad essere accettato dalla Commissione Ue. Fare paralleli col destino di banche private italiane e prendersela con la Ue significa continuare a vedere un film diverso dalla realtà. Ma inutile ribadire sempre le stesse cose, soprattutto in un paese dove il vittimismo e i non sequitur sono il mainstream in pressoché ogni ambito.