di Luigi Oliveri
Egregio Titolare,
si fa un gran parlare in questi giorni del flop di Garanzia Giovani, in qualche misura “certificato” dalla Corte dei conti europea. La magistratura contabile ha rilevato che in Italia solo il 31% degli oltre 1,156 milioni di giovani che hanno aderito sono stati assunti con contratti di lavoro subordinato, a fronte di una media europea dell’80%. Simmetricamente, mentre in Europa in media gli avviati a tirocinio sono stati il 13%, in Italia invece la gran parte delle azioni rivolte ai giovani hanno riguardato proprio il tirocinio, nel 54% del casi, con uno sbocco occupazione successivo nel 25,4% dei casi.
Indubbiamente, i risultati di per sé non sono certamente incoraggianti, specie se messi in rapporto con il miliardo e mezzo speso in Italia allo scopo. Tuttavia, il “flop” pare sia corretto contestualizzarlo. Non pare si possa dimenticare che l’iniziativa è stata avviata mentre in Italia ancora la “crisi” morde, eccome. Immaginare che un’iniziativa pubblica di spinta al lavoro per i giovani possa da sola essere fattore sufficiente perché il tasso di disoccupazione giovanile stratosferico si riduca è utopia, se l’economia non cresce e se, di conseguenza, le aziende non sono disponibili ad investire nel medio termine e, quindi, ad assumere.
Ciò spiega la netta tendenza a far prevalere l’utilizzo del tirocinio. Se si aggiunge, poi, che in Italia Garanzia Giovani ha investito moltissimo soprattutto nei tirocini, consentendo alle aziende di avvalersi dei giovani avviati con questo strumento in modo gratuito, se ne capisce l’estrema attrattività: tirocini gratuiti, che non implicano vincoli alla costituzione successiva di rapporti di lavoro nelle condizioni dell’economia che sono quelle che sono, comprensibilmente si sono rivelati appetibili, più di qualsiasi iniziativa di collocazione con contratti di lavoro subordinato.
Appare anche necessario ricordare che Garanzia Giovani è stata letteralmente fagocitata dalla nota iniziativa parallela adottata dal Governo, nell’intento di rilanciare l’occupazione e, cioè, i consistentissimi sgravi triennali per le assunzioni. Per quale motivo un datore di lavoro avrebbe dovuto preferire assumere un giovane senza esperienza e senza titoli, sia pure avvalendosi di un bonus assunzionale annuale, se poteva contestualmente, invece, inserire in azienda lavoratori esperti, con fortissimi sgravi triennali senza nemmeno più il vincolo dell’articolo 18?
Tenendo in dovuta considerazione questi elementi, il “flop” probabilmente va considerato molto meno clamoroso di quanto appaia. Senza dimenticare mai che l’Italia rispetto agli altri Paesi competitori sconta un problema organizzativo del sistema pubblico a dir poco spaventoso: la spesa per i servizi pubblici del lavoro in Italia nel 2015 ha di poco superato i 700 milioni, a fronte degli 11 miliardi della Germania, che impiega oltre 100.000 dipendenti, contro i poco più di 5.500 operanti in Italia.
Avendo riguardo anche a questi dati, l’attivazione dei molti tirocini che in un quarto dei casi si sono anche tradotti in rapporti di lavoro, non è poi così da buttare via, ricordando che lo stesso Jobs Act definisce i tirocini una tra le iniziative di ricerca attiva di lavoro principali nel sistema (leggere, per credere, l’articolo 18, comma 1, lettera g) deld.lgs 150/2015).
Indubbiamente le rilevazioni della Corte dei conti europea sono utili per provare ad indirizzare le iniziative della riedizione di Garanzia Giovani verso sistemi più efficaci di incontro domanda-offerta rivolta ai giovani. Sarà utile, allo scopo, provare a non “drogare” il sistema abusando del finanziamento pubblico dei tirocini e a non creare iniziative concomitanti tali da rendere in ogni caso il lavoratore poco qualificato, quale certamente non può che essere il giovane Neet, sempre l’ultimo da scegliere per inserimenti lavorativi.