La versione di Bankitalia ed un paese che si è incastrato

Ieri l’altro il direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi, è intervenuto all’Almo Collegio Borromeo di Pavia sul tema “Europa: dall’unione monetaria all’unione economica e oltre“. In un discorso di otto cartelle, di necessaria sintesi storica di più decenni di Europa più o meno unita, la parte sull’Unione bancaria è quella più interessante, ai fini di comprendere se i nostri civil servant e la nostra tecnocrazia sono meglio della nostra sgangherata e levantina classe politica. L’analisi di Rossi lascia molte perplessità, per la memoria selettiva di cui dà prova, oltre che per alcuni salti logici che suggeriscono che il disagio di un paese preso in totale contropiede dalla realtà è tuttora forte.

Tralasciamo Carlo Magno, Adenuaer, Schumann, De Gasperi, morte e distruzione e pace euro-irenica, che sono la costante di ogni ricostruzione ed analisi che riguardi il nostro continente. Concentriamoci sull’unione bancaria incompiuta e su come il nostro paese la vorrebbe. Partendo dai postumi della crisi Lehman, Rossi parla dei salvataggi bancari in Europa:

«Lo fecero gli americani; lo fecero gli europei, che impegnarono nel salvataggio denaro pubblico pari a quasi il 6 per cento del PIL dell’Unione. Una parte importante la svolse la Germania, con il 12 per cento del proprio PIL. Fra i paesi del Sud, lo fecero la Spagna e la Grecia, usando risorse comunitarie con gli strumenti già a quel tempo disponibili (European Stability Mechanism, ESM). Non lo fece l’Italia: perché non sembrava averne bisogno, in quanto il suo sistema bancario aveva giocato assai poco il gioco dei prodotti derivati, e i crediti deteriorati erano ancora lontani dai massimi storici del 2015»

Tutto quasi corretto. Le banche italiane “non parlavano inglese”, come sosteneva con tronfio nazional-provincialismo Giulio Tremonti. Sui crediti deteriorati di casa nostra, il discorso è più sottile. All’epoca erano contenuti perché gli standard sul riconoscimento delle sofferenze non erano ancora stati fortemente stretti, su base comunitaria ma anche internazionale, per rispondere alla domanda di trasparenza la cui mancanza aveva messo in ginocchio il sistema finanziario mondiale. I numeri delle nostre sofferenze erano finti, quindi? Assai probabile, senza contare che il nostro paese cresceva già allora assai poco.

Ma Rossi dimentica che, post 2008, l’Italia semplicemente non poteva permettersi di fare nuovo debito pubblico per salvare le banche, anche se quest’ultime avessero esposto la realtà dei loro bilanci, né disponeva delle risorse fiscali per attuare una manovra espansiva anticiclica a contrasto dello shock globale. Questa era l’eredità di lustri di conti pubblici in dissesto, malamente occultato dietro affannose rincorse delle entrate ad una spesa pubblica incoercibile e di pessima qualità. L’Italia era ed è un incidente catastrofico che attende di accadere. Lehman e la crisi greca, con la pessima gestione iniziale da parte di Angela Merkel, che indusse nei mercati il dubbio che dall’euro si potesse pure uscire, scatenando il panico, sono stati il detonatore ed il catalizzatore di uno squilibrio italiano che tuttavia era in atto da moltissimo tempo, e che stava caricandosi a molla. Una gestione dei conti pubblici dissennata, miope, priva di capacità programmatorie e di qualità infima hanno fatto il resto. Forse Rossi avrebbe dovuto avere più coraggio, in questa sua ricostruzione storica.

Il d.g. di Bankitalia prosegue:

«Tutte le banche hanno nei propri bilanci molti titoli pubblici nazionali; il valore di quelle dei paesi del Sud Europa, quindi, ha seguito la sorte dei paesi stessi e dei loro titoli pubblici nell’opinione di chi dà loro soldi all’ingrosso (banche estere e investitori internazionali in primis). Per tagliare questo nesso è stato concepito il progetto dell’Unione bancaria, la cui idea originaria nasce quindi come un avanzamento della costruzione europea. L’idea di fondo è – come ho già commentato altre volte – che una banca stabilita in Europa è affare di tutti, non del solo paese in cui ha sede»

Verissimo. L’unione bancaria serve per recidere o attenuare fortemente il legame tra richiedenti credito e condizioni del paese sovrano in cui esso opera. Ma per fare ciò, dato che in Eurozona non esiste mutualizzazione dei debiti pubblici, serve isolare o quanto meno ridurre la capacità di contagio dei debito sovrano rispetto alle banche. Non è un concetto così esoterico, ci pare. Se non ci sono gli eurobond ma vogliamo che le banche prestino in modo relativamente autonomo dal paese in cui operano, occorre fare proprio questo. Rossi dice che “tutte le banche hanno nei propri bilanci molti titoli pubblici nazionali”. Ecco, questa è argomentazione piuttosto sciatta. In Italia questo fenomeno è molto marcato, pressoché patologico e pure in inquietante controtendenza rispetto al resto d’Europa; non basta cavarsela dicendo che il valore delle banche segue l’andamento di quello del debito pubblico. Questo è un cortocircuito logico. Continuare ad affermare che “serve l’unione bancaria” e poi scordarsi che in Eurozona non esiste mutualizzazione del debito sovrano e che quindi se si hanno banche zeppe di titoli di stato nazionali il loro salvataggio equivarrebbe a mutualizzare, non porta da nessuna parte. O meglio, porta in un vicolo cieco e contro un muro.

Serve preliminarmente riconoscere i motivi per i quali l’unione bancaria è andata in stallo, non uscirsene con frasi come questa:

«Questa idea si è scontrata fin da subito con la diffidenza ormai dilagante in Europa fra Nord e Sud. Il progetto di Unione bancaria è divenuto allora uno strumento non già per tagliare il nesso perverso banche-sovrani, ma per impedire, o rendere molto difficile, che una banca sia salvata con denaro pubblico: del paese stesso, o di tutti i paesi europei»

Altro sconcertante cortocircuito logico, perché se salviamo le nostre banche con denaro pubblico (bail-out), il nostro debito aumenterà ulteriormente. Semplicemente, non c’è capacità fiscale per realizzare una cosa del genere. Inutile strepitare “ma gli altri paesi lo hanno fatto, maestraaa!”. Chi lo ha fatto e poteva permetterselo, oggi non ha problemi. Chi lo ha fatto soffrendo pene dell’inferno, come l’Irlanda, è oggi fuori dai guai grazie alla sua “peculiare” condizione di centro fiscale offshore ed onshore al contempo. L’Italia non ha modo di farlo perché in questi lustri ha fatto pessima spesa pubblica, pessima tassazione, pessima politica economica, si è incravattata smettendo di crescere, ha lasciato sotto il tappeto sino all’ultimo il problema della qualità degli attivi delle proprie banche. Altro che euro che non va bene per noi, cari signori.

Il singolare rovesciamento di prospettive attuato dal direttore generale di Banca d’Italia è lo specchio di un paese confuso ed in grave difficoltà, per essere stato sorpreso dalla storia nel posto sbagliato al momento sbagliato. Rossi questo lo sa perfettamente ma non può esplicitarlo perché si tradurrebbe in un atto d’accusa contro la classe politica del paese, tutta. Ed ecco quindi che se ne esce con questa singolare frase:

«L’Italia ne sta pagando il prezzo più alto perché è finita incastrata nella nuova logica – mai più bail out, solo bail in! – proprio quando le sue banche si andavano caricando di crediti deteriorati a causa della profondità della doppia recessione, i cui effetti erano per alcune aggravati da gestioni malaccorte, quando non criminali»

Il participio passato “incastrata” è perfetto, ma anche molto ambiguo. A non pochi, o forse alla maggioranza, questo verbo suggerirà che ci hanno “fregati”, il solito complotto contro il nostro paese. Forse la scelta di questo verbo, così suggestivamente ambiguo, non è stata casuale. In realtà siamo stati “incastrati” dalla nostra insipienza ed incapacità a programmare e fare sviluppo, anziché sfinirci in mediazioni a somma negativa nella nostra perenne guerra per bande che è il marchio di fabbrica del nostro corporativismo malato.

Abbiamo avuto banchieri criminali, dice Rossi. E contro condotte criminali, la vigilanza è molto spesso disarmata. In altri casi, quella stessa vigilanza è stata però troppo benevolmente distratta su condotte profondamente disfunzionali anche senza arrivare al penale. Come, ad esempio, nell’emissione massiccia di subordinati al retail, per tenere in piedi a buon mercato gruppi di controllo sfiancati e squattrinati. Conservare l’esistente ed impedire che il mercato faccia pulizia è il modo migliore per porre le basi per successivi disastri. E il sistema si è tenuto bordone, alla fine. Tutti con tutti. E ora dobbiamo pure sentirci dire che “è colpa del liberismo”.

Ma Rossi ritiene di dover isolare i tecnocrati civil servant dalle responsabilità della politica:

«A volte si levano voci a chiedere come mai l’Italia non avesse obiettato ad alcune norme ritenute improprie dell’Unione bancaria. La risposta è semplice: a livello tecnico lo ha fatto, a livello politico non poteva farlo. Il livello tecnico non era quello della decisione finale. Il livello politico vedeva l’Italia in posizione di straordinaria debolezza in Europa fra l’estate del 2012 e la fine del 2013, a causa delle sue convulsioni interne. In quel periodo si è varato il nuovo regime, con la Direttiva sulle crisi bancarie (BRRD) e la Comunicazione della Commissione europea che reinterpretava le norme antitrust al fine di escludere qualunque supporto pubblico, o ritenuto tale, alle banche senza che fossero inflitte perdite agli azionisti e creditori subordinati (il cosiddetto burden sharing)»

Perfetto. L’Italia che si ingoia il bail-in senza fiatare è un’Italia debolissima perché in preda a “convulsioni interne”. O forse perché l’Italia tende a selezionare una classe politica di ignoranti approfittatori? Lo dirà il tempo. Ma se sei debole sul piano europeo, è perfettamente inutile gridare al complotto. Puoi scegliere, allora: o prendi la medicina, per quanto amara, oppure smetti di giocare con le regole comuni a tutti gli altri, e incroci le dita sperando di cavartela e che alla fine della caduta da salto nel buio ci sia un materasso o del terreno non roccioso.

Tutte le altre interpretazioni, recriminazioni, salti logici (non ci sono risorse fiscali per i bailout delle banche, dottor Rossi e dottor Visco), sono solo la variante sofisticata e tecnocratica dei masanielli che strepitano nelle piazze, nei talk e sui giornali che “la Germania ci vuole distruggere, all’armi!”. Possono servire ad ottenere punti-fedeltà verso la politica, al momento delle nomine, ma non aiutano il paese a prendere coscienza delle sue drammatiche vulnerabilità e dei suoi tragici errori del passato. Un passato che resta terribilmente presente.

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