Domande e risposte sull’ennesimo disastro di un paese fallito

Quando si è assai facili profeti: solo ieri suggerivo che il conto del “salvataggio” per le due popolari venete dissestate sarebbe stato verosimilmente più in un intorno dei 10-15 miliardi che degli innocui 4-5 ipotizzati se fosse stata attuata la ricapitalizzazione precauzionale da parte del Tesoro. Oggi sui giornali affiorano le prime timide (perché ancora poco numerose) revisioni al rialzo, che parlano di circa 12 miliardi, per effetto del bid aggressivo di Intesa Sanpaolo, che opera in modalità “guai ai vinti” ed anche in quella “ora vado a riprendermi i soldi che ho buttato sin qui negli interventi di sistema”.

Ma quello che realmente mi manda ai pazzi è leggere di fantasiosi paralleli tra l’operazione Santander-Popular e quella Intesa-venete, suggeriti soprattutto dal Corriere, la cui editrice ha Intesa come grande finanziatore. Si veda questa pagina che parla lisergicamente di “soluzione iberica”. Comparare una risoluzione a costo zero per lo Stato con uno spericolato ibrido tra una liquidazione coatta amministrativa ed una risoluzione, che scoperchierà il vaso di Pandora ed in cui il contribuente italiano metterà una dozzina di miliardi (se saremo fortunati) indica che servirebbe più rispetto dell’intelligenza dei lettori, se si ha deciso di non averne per la propria.

Eppure questo sembra essere diventato il mantra di un sistema malato, assieme alla frase “la liquidazione ci sarebbe costata molto di più”, tipica di chi parla di cose che non conosce. Poi ci sono quelli che brandiscono il carattere “nazionale” della procedura di liquidazione, per giustificare il massacro dei contribuenti italiani. La liquidazione sarà pure “nazionale” e finanche “sovrana”, cari Tafazzi, ma le sue ricadute non possono violare il perimetro del diritto fallimentare (inclusi gli aspetti penali), e la normativa europea sugli aiuti di stato, di cui Intesa fruirebbe a mani basse.

Mentre attendiamo l’esito certo ed il pronunciamento europeo, proviamo a farci qualche domanda. Un futile passatempo di quanti non si rassegnano ad essere derubati da ladri ed incompetenti, e dal loro codazzo di corifei.

“Perché c’è solo l’offerta di Intesa?” Non saprei, saranno stati i migliori ed i più reattivi. Non mi risulta però che sia stata avviata una formale sollecitazione a presentare manifestazioni di interesse, al momento. Quello che invece è certo è che Intesa riceverebbe imponenti sussidi. Ad esempio, la dotazione stimata in 4 miliardi di euro per permetterle di rilevare i crediti sani delle venete (calcolati in 25 miliardi) senza ridurre i  suoi coefficienti patrimoniali. Oppure girarle (regalarle?) gli 1,4 miliardi di crediti d’imposta (Deferred Tax Assets, DTA) in pancia alle due venete. “Eh, ma anche Santander ha avuto i DTA”, diranno i più vispi tra voi. Certo, ma Santander ha rilevato una banca in continuità, non ha colto fior da fiore tra attivi e passivi. Come si intuisce, già solo in questi aspetti c’è materia per una valutazione di legittimità di aiuto di stato ad Intesa. 

“Ma che tipo di liquidazione è questa?” In effetti, in una liquidazione si mette tutto quello che è possibile mettere, incluse obbligazioni senior. Siamo sicuri che trasferire ad Intesa la parte sana di attivo e i senior medesimi non configuri una procurata bancarotta delle due venete?

“Ma tanto lo Stato avrebbe pagato comunque”. Vero, ma est modus in rebus. La ricapitalizzazione precauzionale avrebbe messo all’attivo dei conti pubblici la quota azionaria delle due venete. Questo è un investimento, per quanto fragile e ferocemente aleatorio. La liquidazione, per contro, oltre a costare il doppio (ma più verosimilmente il triplo), non fa alcun investimento, perché la bad bank nasce già incenerita.

“Ma assegnare i crediti sani alla bad bank avrebbe implicato il loro rientro, e un disastro per i debitori”. Questa è obiezione fondata. I crediti sani vanno preservati, e con loro i debitori, per motivi di stabilità sistemica. Ma i crediti sani avrebbero potuto essere riassegnati al sistema bancario, dietro richiesta di più operatori, eventualmente con aiuto pubblico erga omnes. Assegnarli in blocco al migliore e sinora unico offerente, sussidiando solo quest’ultimo, appare una evidente forzatura.

“Ma ci sarebbero migliaia di esuberi”. Vero, ma la soluzione è tutelare ogni singolo posto di lavoro o i singoli lavoratori? Costa meno usare i normali ammortizzatori sociali oppure battere la strada indicata da Alitalia, e creare magari qualche fantasmagorico scivolo settennale per poche centinaia di fortunati, mentre nel resto d’Italia la gente viene licenziata quotidianamente e silenziosamente, quando le loro aziende vanno male? Riusciremo a capire che la difesa ad oltranza con soldi pubblici di posti di lavoro morti è una delle maggiori responsabili del dissesto di questo paese?

“Ma toccare i senior avrebbe effetti cataclismici sul finanziamento delle banche!”. Ma perché mai? Forse si sconterebbe la maggiore rischiosità di alcuni emittenti più che dell’intero sistema. Ma quella sta già venendo scontata. A chi afferma questa tesi vorrei fare una domanda: che accadrà quando le banche dovranno determinare il cuscinetto di propri titoli assoggettabili a bail-in, nell’ambito del cosiddetto MREL? Emettere quel debito sarà comunque più oneroso, per ovvi motivi. È la giustificazione per scavare trincee e buchi di bilancio pubblico per difendere -oggi- una decina di miliardi di bond senior di due banche in dissesto? Siamo lievemente miopi, temo.

“E quindi, che fare?” Operare per ridurre l’inevitabile esborso pubblico, e renderlo quanto più simile ad un investimento, anziché ad un rito sacrificale di soldi pubblici. Intesa non dovrebbe essere l’unico offerente, dovrebbe esserci un contest ad evidenza pubblica. E comunque, Intesa non dovrebbe ricevere un sussidio ad bancam. C’è alternativa? Forse sì, sempre quella: coinvolgere gli obbligazionisti senior sino a concorrenza di quanto necessario a ripristinare la funzionalità della banca. Comunque tutto verte sugli obbligazionisti senior, in queste procedure. Non capirlo vuol dire condannarsi a ripetere la storia, e massacrare i contribuenti.

Se l’Italia ha deciso di non volersi assoggettare a bail-in, e di conseguenza di volersi suicidare mettendosi al collo il debito pubblico prodotto da aggiramenti delle norme europee, il cui enforcement appare sempre più aleatorio, ognuno pensi ad un piano per salvare i propri averi, perché ce ne sarà bisogno.

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