Come prevedibile e previsto, l’onda di piena dello sdegno patriottico bancario per la proposta della vigilanza Bce sulle sofferenze si sta gonfiando col passare delle ore. I giornali italiani sono a maggioranza turgidi d’ira contro l’organismo guidato da Danièle Nouy, che ardirebbe prevedere veri e propri piani d’ammortamento per le sofferenze, fissati a due-tre anni per i crediti non garantiti e sette anni per quelli garantiti.
È come essere tornati nella machina del tempo, all’eterno ritorno del piagnisteo italiano: tutti ce l’hanno con noi, è una “follia” della Bce, non ci si rende conto della “peculiarità” e “specificità” italiane, proprio ora che i flussi in ingresso a nuove sofferenze sono tornati ai livelli pre-crisi, voi non capite quanto valgono le garanzie (anche su capannoni inutilizzabili ma transeat), chi vi manda/paga, e così spero di voi.
Forse è un fuoco di sbarramento per evitare che la norma si estenda anche allo stock di sofferenze pregresse, che sarebbe effettivamente una mazzata letale (ma prima o poi andranno smaltite e non utilizzate come copertina di Linus, no?), diciamo anche che forse il tempo stimato per azzeramento dei crediti non garantiti (due-tre anni) è piuttosto severo, anche se esperti valutano che questi archi temporali sarebbero una sorta di media continentale. Poi ci sono i distinguo metodologici, che ritengono troppo severo azzerare in due anni il valore di recupero dei crediti unsecured, che dovrebbe porsi intorno al 5% per media di mercato. Eccetera.
Sarebbe assai più utile, ma siamo certi che avverrà, argomentare nel merito e proporre alternative durante il periodo di consultazione, anziché mandare avanti giornalisti e politici “di fiducia” a minacciare cavallette, recessioni, strette creditizie e sacrificio dei primogeniti maschi se questa “follia europea” dovesse compiersi.
La vera follia però non proviene dalla Nouy, che nelle prossime settimane ore vi sarà dipinta come un mostro a sette teste agli ordini dei franco-tedeschi, bensì dal fatto che i nostri banchieri ed i loro regolatori supremi prima passano il tempo a pontificare nei convegni circa l’esigenza di dotarsi di strutture interne di recupero di crediti ammalorati, per evitare di “svenderli” a qualche locusta, indigena o importata, e poi si mettono a strepitare di fronte a ben sette anni per i crediti garantiti.
Forse perché il problema dello stock di sofferenze bancarie italiane è tutto fuorché risolto. Prima si invocano linee guida omogenee su base europea, “perché altrimenti noi italiani siamo penalizzati”; poi le si giudica draconiane “perché in questo modo noi italiani siamo penalizzati”.
Ma lo zenit si tocca in un editoriale di oggi sul Sole a firma del professor Marco Onado, uno dei nostri massimi esperti di economia delle aziende di credito. In esso, Onado dice niet a tutto con argomentazioni stupefacenti. Come questa:
«Già oggi il mercato delle sofferenze è troppo piccolo e in mano a pochi operatori specializzati che hanno un forte potere contrattuale. Che ovviamente crescerà esponenzialmente quando costoro si vedranno offrire beni che il venditore sarà costretto a svalutare interamente in un arco di tempo tassativamente prefissato. Non solo: perché un amministratore di una banca che esercita una diligenza normale dovrebbe approvare cessioni di interi pacchetti di sofferenza a prezzi che comportano un sacrificio economico cospicuo? Perché cedere il “tesoretto” in qualche modo implicito nelle posizioni in sofferenza rischiando pure sotto il profilo della responsabilità personale? L’effetto netto di un criterio-tagliola simile può essere quello di rallentare ulteriormente la cessione delle sofferenze»
Se è vero che un termine tassativo fa il gioco del compratore e non del venditore, sarebbe utile capire che parliamo di 7 (sette) anni, termine che Onado irride come “biblico”. Ma arrivare ad affermare che un amministratore di banca potrebbe aver responsabilità per aver (s)venduto le sofferenze, rasenta la psichedelia. Dopo sette anni, a valore del credito azzerato ma non stralciato, se la banca realizza una plusvalenza, se la ritroverà in bilancio. Punto e finita lì. Ma non solo: le banche, attrezzandosi per il recupero crediti, possono cedere gli stessi a strutture esterne, come fatto da Unicredit, fuori dal perimetro settoriale bancario, e cercare di valorizzare il realizzo. Ma di che stiamo parlando?
Ma a Onado sette anni per i secured non bastano:
«Ma la storia delle crisi bancarie, aziendali e soprattutto sistemiche, insegna che i tempi di recupero possono essere più lunghi»
Ecco, allora ottima occasione, per l’Abi ed i suoi simpatizzanti, per chiedere con forza al governo di rimettere mano alla legislazione ed al quadro giudiziario di escussione delle garanzie, per fare dell’Italia un paese con una giustizia civile europea e non più da terzo mondo. Lei che dice, professor Onado? Ma no, ecco l’accademico che si lancia in ulteriore perorazione, sulla base nientemeno che di una forma di “iniquità temporale” per gli azionisti delle banche:
«Se è così, si apre un delicato problema di coerenza temporale dei bilanci e in particolare di equità di trattamento fra gli azionisti di oggi e quelli di domani. Il drastico criterio di svalutare tutto il credito, anche se garantito, entro un termine prefissato comportala creazione di potenziali plusvalenze nei bilanci bancari (pari a quanto potrà essere effettivamente recuperato: una cifra che mediamente oggi supera il 50 per cento del valore del credito). In altre parole, il costo viene sopportato dagli azionisti di oggi e le plusvalenze andranno a beneficio degli azionisti di domani. Un trasferimento di ricchezza tutto sommato neutrale in un sistema di banche pubbliche, ma gravido di conseguenze nelle attuali condizioni di banche quotate che rispondono al mercato»
Ecco, siamo arrivati alla par condicio per gli azionisti, sublime. Il tutto scordando che il valore corrente di un’azione incorpora le informazioni rilevanti e fornisce una stima dei “futuri stati del mondo”, inclusa quindi questa traslazione temporale di costi e benefici, anche senza scomodare versioni forti della Efficient Market Hypothesis. Sono sinceramente sconcertato a leggere argomentazioni del genere ma immagino che questo sia problema mio, che non sono editorialista di grandi quotidiani italiani né sono parte integrante del sistema.
Onado critica anche l’eventuale segmentazione del regime normativo, nell’ipotesi in cui le nuove norme si applichino solo ai nuovi flussi di sofferenze, generatisi dopo il primo gennaio 2018. Ma sembra voler ignorare che, se le cose stanno in questi termini, le banche italiane finiranno a spostare a sofferenze i crediti problematici prima del prossimo Capodanno, per prendere tempo. E oplà.
Ribadisco: se gli editorialisti di sistema, e la politica abituata a leggere dossier preparati dalle banche e ripeterli a pappagallo, capissero che serve attrezzarsi in termini di sistema giudiziario, forse saremmo ben oltre metà dell’opera. Invece, dobbiamo leggere simili difese d’ufficio. Allo stesso modo in cui non mi pare stiamo leggendo nulla del grave rischio rappresentato per i contribuenti italiani dalle Gacs e dal ricorso massivo alle medesime. Ribadiamo il concetto: le nostre banche possono reimpacchettarsi le sofferenze e tenersi in pancia la tranche senior così originata, con gentile garanzia statale. Se poi, tra qualche anno, scopriremo che le perdite sul credito hanno eroso anche la tranche coperta dalle Gacs, no problem: Pantalone rimborserà le banche.
Ecco, cari editorialisti di sistema: provate a scrivere qualcosa su questo rischio, anziché passare il tempo a piangere e a sdegnarvi per il fatto che la Bce cattivona vuole scippare le nostre banche del loro “tesoretto” di sofferenze. E forse diverremo un paese normale.