Un post di Fabio Scacciavillani segnala alcune evidenze aneddotiche secondo cui le banche starebbero assumendo un atteggiamento singolare nella richiesta di garanzie alle imprese, e giunge alla conclusione che si tratti di doppiopesismo a danno delle piccole e medie imprese, mentre i soliti maneggioni verrebbero ancora premiati. Non so se le cose stanno effettivamente così, avrei una lettura alternativa, dalla quale comunque i banchieri continuano a non uscire benissimo.
L’aneddotica portata da Fabio è piuttosto desolante, in effetti. Un’azienda dal robusto portafoglio ordini chiede una fideiussione per 55 mila euro per garantire l’affitto di un capannone; si tratta di importo minimo rispetto a patrimonializzazione e fatturato ma per tutta risposta si sente chiedere come garanzia il deposito di titoli di alta qualità per pari importo. Allora sarebbe forse meglio vendere i titoli e pagare la cauzione di affitto, oppure girarli alla controparte in conto segregato chiedendo di investirli in Bund o equivalenti.
La stessa banca, per una linea di fido di anticipo fatture, peraltro limitata “al 20% dell’80%” dell’importo anticipato, chiede fideiussione dei soci. Ancora: per ottenere i benefici della “legge Sabatini”, che taglia gli interessi per acquisire in leasing macchinari ed attrezzature, un’altra banca chiede garanzia fornita da un consorzio. Che quindi si prenderebbe lo sconto interessi concesso dalla legge di incentivazione.
Ancora:
«E se la ricchezza personale dei soci eccede di gran lunga il valore del credito? Beh allora il corto circuito logico si intensifica. Il tasso di interesse applicato dagli istituti di scrocco viene determinato dal rischio di credito della società di capitale, cioè dalla consistenza patrimoniale netta dell’azienda. Ma se i soci chiamati a garantire hanno un patrimonio di gran lunga superiore al debito, il rischio di credito in realtà è quasi nullo. Ad esempio è di gran lunga inferiore al rischio sul debito pubblico italiano che ha un rating quasi da junk bond. Quindi un’azienda i cui soci e amministratori abbiano una solida posizione patrimoniale non dovrebbe pagare un interesse superiore a quello dei BTP. Al contrario il Tesoro beneficia di interessi negativi mentre chi produce viene taglieggiato»
Per usare il latinorum dei manager, diremmo quindi che esiste un mispricing del credito, e che le banche guadagnano “a gratis”; non a caso Fabio le definisce “istituti di scrocco”. Questi
«[…] sono solo esempi eclatanti del tipo di pratiche che ormai costituiscono il sistematico trattamento umiliante per le piccole imprese da parte di alcune banche (non tutte, ci tengo a precisarlo) che magari senza battere ciglio si accollano i miliardi debiti accumulati dalla dinasty De Benedetti. Sarebbe estremamente utile che voi lettori mi inviaste esempi analoghi con cui corredare questo post in modo da squarciare la cortina di silenzio»
«Forse si potrebbero individuare le banche che sistematicamente stendono tappeti d’oro ad imprese dalla dubbia solidità ma ben protette, mentre massacrano le piccole imprese sane, senza che la Banca d’Italia inarchi un sopracciglio. Mettendo insieme i casi individuali si potrebbe ricostruire questo meccanismo alternativo di usura che distrugge la parte sana dell’economia per succhiare il marciume»
Questa è l’analisi di Fabio. Io penso che la situazione attuale, in cui abbiamo banchieri che sono terrorizzati dalla loro ombra e chiedono sovragaranzie, abdicando al proprio ruolo di valutatori del merito di credito, derivi da due o tre circostanze. La prima è che, così facendo, le banche spingono la propria redditività al fine di avere munizioni (cioè utili operativi) per rettificare i crediti deteriorati. Perché quella emergenza è tutto fuorché archiviata, e perché bisogna mettere fieno in cascina per la prossima recessione.
In secondo luogo è possibile che, scottati dalla precedente era geologica, in cui si faceva credito a cani, porci e galline purché “amici” e “compari”, oggi molti banchieri siano diventati improvvisamente cauti all’eccesso, e puntino al pasto gratis per coprirsi le spalle ed altra parte anatomica più giù delle medesime, sul piano reputazionale.
Né è da escludere, inoltre, che si cerchi di cautelarsi contro l’incertezza elevata e crescente di questo paese, che dà sempre l’impressione di essere sul punto di dirigersi a tutta randa verso i più vicini scogli. Se qualcuno pensa che, argomentando in questo modo, io stia giustificando i banchieri, si faccia vedere da uno bravo.
Quanto alle imprese “connesse”, cioè quelle privilegiate nell’ottenere credito che non meritano, quelle che hanno ingrassato banchieri-faccendieri e amici degli amici, è in realtà possibile (ma non vorrei essere troppo ottimista) che ci siamo lasciati alle spalle alcune pratiche, il cui costo potenziale dovrebbe essersi innalzato di non poco durante l’ultima crisi (ribadisco: vedete quanto sono ottimista?). Quindi la situazione attuale non andrebbe letta come prosecuzione della discriminazione pro-faccendieri e contro le PMI sane del nostro paese ma come condotta adattiva, pur se deforme e indecente, e che getta altro fango sul mestiere di banchiere.
Purtroppo, c’è da attendersi una unintended consequence, dallo scritto di Fabio: che fornirà carburante a quanti invocano la creazione di una mitologica “banca pubblica” che faccia credito a “imprese e famiglie”, “come in Francia e Germania”. Perché non sarebbero italiani se non facessero sfoggio di crassa ignoranza citando esperienze estere mai esistite, nel loro ossimorico autarchico provincialismo.
Né aiuta titillare il nazionalismo con le pezze al culo che sta impossessandosi di questo paese stigmatizzando la banca francese operante in Italia e che si dimostra così ottusa su quel fido da 55 mila euro, parlando di
«[…] geniali banchieri francesi che però sono autorizzati a raccogliere risparmio nel Bel paese, di fatto sottraendo risorse al sistema economico»
Perché serve considerare che, dopo tutto, la controllata italiana di banca francese deve agire in tutto e per tutto come fosse una banca italiana, in caso qualcosa andasse storto nel Belpaese, e che i primi a comportarsi così sono banchieri italiani. La segregazione del rischio per linee nazionali è un dato di fatto, dopo che i primi esperimenti di banche transnazionali sono stati devastati dalla Grande Crisi, e con loro i conti degli stati che erano dietro a quelle banche.
Scuotere l’albero e trovare arruffapopolo che raccolgono i frutti pare essere diventata la maledizione italiana. Ma nulla accade per caso.