Mentre attendiamo di capire se ed in che direzione il parlamento modificherà il cosiddetto decreto dignità, iniziano a filtrare gli orientamenti dell’esecutivo in materia di incentivi al tempo indeterminato, che sarebbe dovuta essere la via maestra ma che è stata sinora ignorata. Anzi, al tempo indeterminato è stata pure affibbiata una penalizzazione aggiuntiva con l’aumento del 50% dell’indennizzo per licenziamenti illegittimi. Ma andiamo con ordine.
Pare che l’esecutivo voglia proporre un emendamento al decreto legge che prevede la restituzione alle aziende della maggiorazione contributiva dello 0,5%, che scatta su ogni rinnovo di contratto a tempo determinato, in caso di stabilizzazione del lavoratore. Come scrivono oggi sul Sole Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci,
«E così, se la trasformazione avverrà subito, già alla fine del primo contratto temporaneo, non si pagherà lo 0,5% aggiuntivo (rispetto all’1,4% previsto dal 2012 dalla legge Fornero); se invece il contratto stabile arriverà dopo il primo rinnovo, all’azienda sarà restituito tutto, l’1,4%, come accade adesso, e anche lo 0,5%, per un totale, quindi, di 1,9 per cento»
Il che, mi pare il “minimo sindacale” degli incentivi. Utile anche evidenziare che già oggi è così, con la restituzione della maggiorazione contributiva di 1,4%, prevista dalla legge Fornero in caso di stabilizzazione. Quindi, se questo è il primo nucleo di “riduzione del cuneo fiscale e contributivo” per le imprese, come pure viene detto nell’articolo, che riporta le assai competenti considerazioni di esponenti di maggioranza ed esecutivo, direi che come battuta non fa ridere.
Una cosa che invece fa sorridere è l’approccio col quale alti consiglieri di Luigi Di Maio, come il professor Pasquale Tridico, hanno affrontato la questione dell’impatto occupazionale causato dalla maggiore onerosità del tempo determinato. Ad esempio, rispondendo alla domanda del professor Michele Tiraboschi in questo modo:
La mia stima, da economista, la avrà quando sono noti gli investimenti. Lo so che é difficile capire che ci sono paradigmi diversi alla base, ma é cosi. Non sono le norme a creare occupazione, e nemmeno a tagliarla.
— Pasquale Tridico (@PTridico) July 15, 2018
Che è una risposta fantastica nel senso etimologico del termine, se ci pensate. Emano un provvedimento, esce un discreto casino sulla stima dell’impatto occupazionale di quel provvedimento, ma tutti i suoi sostenitori e genitori dicono che “prima” bisogna vedere “gli investimenti”, uno stato del mondo che è nel grembo di Giove. E questo refrain è ormai l’inno ufficiale del M5S: lo canta Di Maio, lo ha cantato in televisione la sottosegretaria al Mef Laura Castelli, dirige l’orchestra il maestro Tridico.
Siamo nella metafisica più pura ma non c’è da stupirsi, visto che Tridico è quello che ha inventato l’iscrizione di massa alle liste per disoccupati in modo da avere più flessibilità dalla Ue e fare più deficit per riassorbire la disoccupazione. Anche fregandosene serenamente dei centri per l’impiego, che sarebbero la foglia di fico dell’intera vicenda.
Ma Tridico va ben oltre. Ad esempio quando, intervistato da Micromega, dichiara:
«Il punto è: in tempo di incertezza economica perché un imprenditore deve scegliere di assumere a tempo indeterminato quando può farlo a tempo determinato? Questa è la domanda da porsi. Nell’incertezza, il datore di lavoro farà sempre la scelta di breve termine. Per questo si deve ribaltare il paradigma. Reinserendo le causali, l’imprenditore sarà orientato a rivalutare il contratto a tempo indeterminato che è anche più vantaggioso. Ciò permetterà una spirale occupazionale positiva»
Che tradotto, vuol dire: se aumentiamo il costo del tempo determinato, in questo caso il costo del potenziale contenzioso legale da causali, ecco che magicamente l’imprenditore (questo strano animale che a noi accademici keynesiani fa un po’ senso e che evidentemente non sa far di conto) “rivaluterà” il tempo indeterminato, che è più vantaggioso. Ma non è geniale, tutto ciò? Quello che non è chiaro è l’uso del concetto di “incertezza”, che per Tridico pare sinonimo di “forte aumento di onerosità”. Lui aumenta dello 0,5% il costo dei rinnovi del determinato, et voilà, ecco le assunzioni a indeterminato. Un vero demiurgo: apre e chiude i rubinetti dell’incertezza ed i pesci imprenditori nuotano dove vuole lui.
Nella stessa intervista, Tridico si era lanciato in un audace calcolo comparato:
«[…] si può affermare che, dato che il contratto a termine è più costoso dello 0,5%, gli imprenditori assumeranno di più a tempo indeterminato»
Certo ma si può anche affermare che, con la legge Fornero, l’aumento era ed è dell’1,4%, eppure il tempo determinato dilaga. Possibile che uno 0,5% in più sia determinante nella scelta? E che dire, ripeto, del forte aumento dell’indennizzo per licenziamenti illegittimi? Ve lo dico io: è vero che l’azienda resta in grado di offrire al lavoratore, per evitare contenzioso, un assegno circolare esente da Irpef e contributi, funzione dell’anzianità di servizio e variabile tra due e diciotto mesi di retribuzione, ma l’aumentato valore dell’indennizzo per via giudiziale rappresenta un incentivo a non accettare la severance del contratto, quindi il costo per l’indeterminato aumenta. Tridico coglie questo concetto?
Scendendo dalla torre d’avorio keynesiana, la buona notizia è che il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, punta a riformare l’Irap, per ridurre il cuneo fiscale. Che poi è l’unica cosa che va fatta, anche se occorre ricordare che nella legislatura precedente il costo del lavoro a tempo indeterminato è già stato escluso dall’Irap ma gli effetti di convenienza non si sono visti.
Ecco, forse conviene sedersi a tavolino e calcolare tutti, ma proprio tutti, i costi del tempo indeterminato rispetto al determinato, per giungere a capire perché il secondo è così utilizzato. Magari chiedendo anche agli imprenditori. Ah no, a loro no: non sanno far di conto, secondo Tridico.