La manina inesistente e le basi antiscientifiche

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

appreso che della “manina” in via Veneto lo sapevano da una settimana, sarebbe interessante adesso soffermarsi un attimo sul merito dell’ormai celeberrima relazione tecnica che stima una perdita di 8.000 posti di lavoro in ragione di anno, come effetto del “decreto dignità”.

Perché, al di là delle polemiche di contorno, il fatto rilevante è scoprire se hanno ragione i Ministri del lavoro e dell’economia nell’affermare che si tratti di una relazione priva di basi scientifiche.

Se si fosse capaci di passare dagli slogan ai ragionamenti, evidentemente qualcuno avrebbe dovuto già da molti giorni spiegare perché mai le stime dell’Inps, che si deve presupporre siano autorevoli ed oggettive, possano essere, invece, solo qualcosa di più di opinioni.

Il ragionamento esposto nella relazione tecnica si basa su una serie di affermazioni concatenate:

  1. In Italia sono 80.000 i contratti a tempo determinato di durata superiore ai 24 mesi;
  2. Non è più possibile rinnovarli per altri 12 mesi, come nel precedente regime, perché il “decreto dignità” consente una durata massima appunto di 24 mesi;
  3. L’Inps stima che il 10 per cento degli 80.000 contratti (8.000) si ritroverà senza altra occupazione alla scadenza dei 24 mesi;
  4. Questo effetto avverrebbe in modo costante ogni anno per 10 anni.

Per affermare che si tratta di previsioni prive di basi scientifiche, occorrerebbe dimostrare che gli elementi del ragionamento contengono difetti di stima, di calcolo, di conseguenza causa-effetto.

Allora, Titolare, forse sarebbe il caso di porsi alcune domande. Un primo lotto concerne il punto di partenza del ragionamento esposto nella relazione tecnica: il dato secondo il quale è di 80.000 la platea dei contratti a termine di durata superiore ai 24 mesi è giusto, oppure no? Tale dato è arrotondato a 80.000 sulla base di una media pluriennale? E qual è l’arco temporale considerato? Un decennio, come appare probabile?

Un secondo gruppo di domande, riguarda le durate. Può, chi critica la relazione, dimostrare che l’Inps non abbia contezza certa della correlazione tra contratti a termine di durata compresa tra i 12 e i 24 mesi ed un loro sostanzialmente sicuro rinnovo fino a 36 mesi?

Un terzo gruppo, riguarda le quantità. Chi alza il dito contro la relazione dovrebbe essere capace di dimostrare che non il 10%, ma una percentuale diversa di contratti a termine – da presupporre ovviamente con un rapporto di 1 a 1 con le “teste” dei lavoratori – resterà senza un’occupazione superati i 24 mesi, non potendo contare più sul rinnovo fino a 36 mesi. E dovrebbe anche spiegare perché la perdita della chance di un prolungamento del rapporto fino a tre anni non sia un elemento da rilevare.

Infine, per contestare le basi della relazione tecnica, occorre dimostrare che il dato rilevato, si presume su una serie storica decennale, non possa fondatamente valere per un altro decennio, a legislazione e condizioni invariate.

Si ripropongono, caro Titolare, i soliti problemi di trasparenza che, insieme a molti altri, affliggono l’agire pubblico.

Per non far trascendere l’analisi tecnica doverosa degli effetti del “decreto dignità” in questioni personali tra Ministri e Presidente dell’Inps e scatenare il polverone della voglia mai sopita di spoils system senza limiti, anche nei confronti di soggetti chiamati a svolgere funzioni approfondimento specialistico e addirittura di controllo, sarebbe bastato esporre gli elementi posti a fondamento dell’analisi.

Non costituisce aiuto alcuno alla comprensione dei fatti e, soprattutto, alla valutazione dell’impatto delle norme, lasciarsi andare all’indimostrata affermazione secondo la quale un’analisi sarebbe priva di basi scientifiche. L’applicazione di minimi principi di trasparenza, avrebbe reso intanto conoscibili proprio gli elementi presi in considerazione per giungere alle conclusioni della relazione tecnica.

Probabilmente, questo sarebbe già stato sufficiente ad evitare il casus belli, ma, in ogni caso, i componenti dell’Esecutivo avrebbero avuto, a quel punto, l’onere di dimostrare passo per passo eventuali incongruenze delle rilevazioni tecniche, prima e per affermarne la poca fondatezza.

Il dibattito sarebbe risultato più pacato e, soprattutto, utile alla comprensione da parte di elettori, lavoratori, cittadini e imprese.

P.S. Che vi sia un grado di trasparenza maggiore sulle valutazioni tecniche lo testimonia il Dossier “Verifica delle quantificazioni” elaborato dal Servizio Bilancio della Camera dei deputati sul disegno di legge di conversione del “decreto dignità”. Vale la pena di leggere questo passaggio:

«Tanto premesso, per quanto attiene al procedimento di quantificazione illustrato dalla relazione tecnica, appare necessario acquisire ulteriori elementi a sostegno delle ipotesi sottostanti l’individuazione degli effetti onerosi prima descritti.

In particolare, si evidenzia che la RT non esplicita gli elementi alla base della previsione di una quota, indicata nella misura del 10 per cento, dei soggetti che, allo scadere del termine di 24 mesi, non troverebbero altra occupazione. Ai fini della verifica di tale parametro, che influenza la stima degli effetti ascritti alle disposizioni in esame, sarebbe necessario acquisire gli elementi di carattere statistico e previsionale, anche attinenti al quadro macroeconomico complessivo e agli andamenti del mercato del lavoro, che giustificano la scelta del predetto parametro e, quindi, l’indicazione di un numero di soggetti interessati pari a 8.000 unità per ciascun anno dell’orizzonte temporale decennale indicato dalla RT.

Si rileva altresì che gli effetti in questione appaiono, dal tenore letterale della RT, riferiti esclusivamente alla riduzione a 24 mesi della durata dei contratti e non alle altre innovazioni introdotte. In proposito appare opportuno acquisire una conferma.

Con riguardo al numero dei contratti a tempo determinato attivati – indicato dalla relazione tecnica in 2 mln al netto dei lavoratori stagionali, agricoli e P.A., e compresi i lavoratori somministrati) – andrebbero acquisiti elementi di raccordo rispetto alle statistiche diffuse dall’INPS sui nuovi rapporti di lavoro a termine attivati nel 2017, indicati in circa 4,5 mln al netto di quelli relativi ai settori dell’agricoltura, silvicoltura e pesca e dei settori dell’amministrazione pubblica e difesa, assicurazione sociale obbligatoria, istruzione, sanità e assistenza sociale²

Per quanto attiene inoltre agli effetti previsti sulla spesa per l’erogazione della Naspi in conseguenza della riduzione della durata dell’istituto (maggiore spesa per il 2018 ed il 2019 e minore spesa dal 2020), ai fini della verifica delle stime riportate dalla RT andrebbero acquisti gli elementi ad esse sottostanti con particolare riguardo all’importo medio della Naspi utilizzato per la quantificazione e alla distribuzione dei contratti per classi di durata.

Infine, con riguardo agli effetti fiscali, che contribuiscono, dal 2019, alla riduzione dell’effetto netto di minore entrata contributiva attribuito alle norme in esame, si osserva che la relazione tecnica non esplicita gli elementi di calcolo considerati ai fini della stima. Quest’ultima dovrebbe infatti includere sia la variazione di gettito connessa al previsto andamento della spesa per NASPI sia l’incremento di gettito attribuibile alla riduzione dell’ammontare dei contributi versati che, in base alla vigente normativa, risultano deducibili dalla base imponibile. Andrebbero acquisiti chiarimenti in proposito tenuto conto che la relazione non fornisce separata evidenza di tali componenti e non esplicita i parametri di calcolo ad esse sottostanti»

²INPS – “Osservatorio sul precariato- Report mensile gennaio-dicembre 2017”

Non sarebbe stato opportuno, Titolare, acquisire da subito gli elementi di chiarezza invocati anche dal Servizio Bilancio di Montecitorio?
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Caro Luigi, questa triste ed un po’ squallida vicenda, oltre che su conclamata sciatteria del processo decisionale, poggia soprattutto sull’orgoglio antiscientifico che affligge questo povero paese. Lo stesso orgoglio che porta a credere che un set di ipotesi e relative stime debba fornire un numero molto hard, come la costante di gravitazione universale, e che quindi ogni numero differente, sotto ipotesi alternative, dimostri inconfutabilmente che l’intero processo è fallato. Duole molto constatare come un valente economista come il professor Tria, pur se per condivisibili ragioni di realpolitik (salvare la tecnostruttura del Tesoro e l’autonomia delle sue future scelte in quell’ambito) abbia dovuto pagare dazio al baccanale antiscientifico in cui questo paese è immerso, giungendo a parlare di assenza di “basi scientifiche” del set di ipotesi utilizzato. Riguardo invece all’inconsapevole bisministro, che ogni giorno ci allieta con una differente sfaccettatura della sua profonda inadeguatezza, io sono un po’ all’antica, e resto della mia idea:

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