Scoppiarono i tombini, ne uscì il Cambiamento

Mentre il Senato vota una indecente fiducia notturna ad una legge di bilancio il cui articolato è composto di 1.100 (millecento) commi, emergono alcune tra le misure “caratterizzanti” del provvedimento. Che cioè ne caratterizzano la natura schifosamente autolesionistica e la pesante ipoteca posta sul futuro del paese.

Ne cito alcune, trovate scorrendo la rassegna stampa: mentre i nostri eroi lavorano alacremente per mandare a gambe all’aria i giornali e gli editori, anche attraverso una web tax che, per come è prevista nelle linee generali, appare una autentica farneticazione, nella legge di bilancio viene previsto un credito d’imposta, “parametrato agli importi pagati per Imu, Tari, Cosap e Tasi”, di massimo 2.000 euro per le edicole (avete letto bene, per le edicole), da utilizzare in compensazione, per un costo di 13 milioni nel 2019 e 17 milioni nel 2020. I fondi arrivano (non ridete) dal “Fondo per il pluralismo informativo”.

Nel frattempo, grazie alla web tax, ogni soggetto esercente impresa con ricavi annui di almeno 750 milioni “ovunque realizzati”, oppure almeno 5,5 milioni derivanti da servizi digitali, dovrà pagare il 3% di tali ricavi. In aggiunta alla imposizione ordinaria, almeno per chi produce utili. Chi invece produce perdite pagherà comunque, visto che si tassano i ricavi.

Poi c’è l’accantonamento di due miliardi, chiesto dalla Commissione Ue come clausola di salvaguardia “in tempo reale” nel senso che, se alla revisione di metà anno il deficit risultasse debordante, quel taglio risulterà acquisito, cioè permanente. Visto che è altamente probabile che a quella data sarà in corso un rallentamento e che quindi il deficit è destinato a peggiorare, il rischio di immolare quei due miliardi è altissimo.

Ma da dove provengono, quei due miliardi? Il dettaglio lo indica Carlo Di Foggia sul Fatto, in un pezzo che il suo direttore responsabile probabilmente non ha avuto tempo di leggere (come anche quelli dei giorni precedenti, dello stesso autore):

Vengono tutti da fondi bloccati ai ministeri. Gran parte dal Tesoro (481 milioni destinati a competitività e sviluppo delle imprese); Infrastrutture (300 milioni della mobilità locale) e Sviluppo economico (159 milioni). Università e ricerca perdono 100 milioni

Non male, no? Direi tagli mirati, non certo lineari. Mentre bloccavano questi fondi, a destinazione palesemente voluttuaria, i nostri eroi appostavano a bilancio un po’ di soldini per consulenze ai ministeri. Giusto, così han fatto tutti, e poi viviamo in tempi sempre più specialistici e specializzati, e i ministeri sono sguarniti di competenze, no? Ecco allora il conteggio, raccontato da Francesco Pacifico sul Messaggero:

E nel testo del maxi-emendamento spuntano anche svariate consulenze. Ad esempio lo stesso ministero dell’Economia si è dato 2.700.000 di euro anche per pagare venti incarichi di «consulenza, studio e ricerca» per «sostenere le attività in materia di programmazione pubblica». Meno care invece – 150.000 euro – le consulenze che sempre il Mef chiederà per il piano di dismissioni degli immobili. Dal Mise, e nonostante il congelamento delle assunzioni della Pa per quasi tutto il 2019, Luigi Di Maio risponde con altri 102 addetti, «in aggiunta alle facoltà di assunzione previste dalla legislazione vigente»

Mi pare giusto, che diamine, servono competenze e burocrati. Ma non quelli odiati e inamovibili: ne servono altri, più affettuosi verso il ministro pro tempore, oltre che super specializzati. Deve essere un modo per sostenere l’occupazione, allo stesso modo in cui sono state individuate coperture per 150 milioni annui derivanti da gettito fiscale e contributivo per i prossimi assunti nei centri per l’impiego. Non si spiega altrimenti. Geniale.

Poi c’è anche un’operazione rigorosa, che servirà a disciplinare una regione che è da sempre un pozzo senza fondo orgogliosamente italiano, cioè del tipo “siamo sovrani ed autonomi, assisteteci”. Si tratta della Sicilia, che col maxiemendamento porta a casa la riduzione del contributo al risanamento della finanza pubblica statale per il triennio 2019-2021 (controvalore, oltre 900 milioni di euro); altri 540 milioni di euro nazionali per investimenti delle province siciliane per viabilità e scuole sino al 2025; la spalmatura in trent’anni (anziché in tre) del ripianamento del disavanzo (del valore di circa 700 milioni di euro), che elimina l’obbligo di riduzione del 3% della spesa corrente, ed il trattenimento integrale del gettito dell’imposta di bollo per i prossimi tre anni (360 milioni). Nel frattempo, abbiamo Luca Zaia in visibilio per l'”autonomia” del Veneto, a metà febbraio circa, Salvini dixit. Però lo statuto speciale siciliano è salvo, volete mettere?

Ecco, questi sono solo alcuni assaggi del dolce di stagione chiamato legge di Bilancio. Altri ve ne proporremo, quando verranno alla luce. Il cambiamento procede a grandi passi. La strada per l’inferno fiscale è letteralmente lastricata di merda.

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