Dove nuovi meravigliosi navigator prendono forma
Si dice spesso che l’Italia è un grande cantiere aperto, a causa degli spin sulle riforme delle riforme che ogni governo e ogni ministro perseguono rispetto ai precedenti. In tal modo le chiacchiere si infittiscono, l’entropia pure, le macerie si accumulano. È tuttavia importante ricordare che ogni bivio imboccato condiziona le strade future. Nel caso italiano, questa circostanza pare aumentare il grado di sclerotizzazione del sistema economico.
Vediamo allora cosa ha in mente la ministra del Lavoro, la pentastellata Nunzia Catalfo, che nella vita precedente si occupava di formazione (almeno, così è scritto nelle sue sintetiche note biografiche), e che oggi è costantemente in procinto di essere sostituita in un eventuale rimpasto, cosa che probabilmente le allunga la data di scadenza politica.
I tre cantieri
Intervistata su Repubblica il 4 gennaio da Valentina Conte, Catalfo risponde sui tre grandi cantieri in sua titolarità politica, pur nell’ambito della collegialità governativa: pensioni, politiche attive del lavoro e ammortizzatori sociali. Tutti mutuamente interdipendenti, ovviamente: i danni inflitti a un ambito si scaricano sugli altri due.
Della ri-riforma delle pensioni ho già scritto giorni addietro. Allo spirare di Quota 100, a fine 2021, si stima vi saranno oneri di lungo termine nella misura di 8 miliardi annui. Il MEF punta a spenderne 3-5 l’anno per creare la famosa flessibilità nel paese più vecchio del mondo e i cui lavoratori sono usurati alla nascita.
L’esito? Pensioni da fame o dissesto finanziario, nella misura in cui la previdenza drenerà più risorse fiscali a tutto il resto. Ma non temete: una bella commissione sulla separazione tra previdenza e assistenza, e la realtà si inchinerà ai nostri desiderata.
Torniamo alla ministra. Che accadrà il 31 marzo quando (forse) si sbloccheranno i licenziamenti e terminerà la cassa covid? La risposta di Catalfo:
Faremo un ragionamento per le aziende in forte crisi: per loro si può pensare di allungare stop e Cig. L’obiettivo è evitare lo tsunami occupazionale, formare i lavoratori in transizione, ricollocarli altrove se l’impresa non riparte.
Quindi, vediamo: le aziende morte continueranno a essere tenute in vita a spese dei contribuenti, mentre i loro lavoratori verranno “formati” (tra poco vedremo anche questo), e se proprio servirà, saranno ricollocati altrove. In che senso? Dove? E soprattutto: se un’azienda è morta, a che serve tenerla cocciutamente in vita? Non sarebbe meglio evitare i costi sociali di tale scelta, concentrandosi sui lavoratori e sulla loro ricollocabilità?
Formiam, formiamo
Segue un misterioso annuncio, legato al concetto di formazione:
Vorrei anticipare anche un’importante politica attiva – la Industry Academy – un programma incentivato per favorire la sinergia tra imprese e università, Istituti tecnici superiori e Regioni. E superare il mismatch: le imprese cercano profili che non trovano, ma che possono essere formati.
Ora, non è chiaro cosa sia questa “Industry Academy”, a parte il nome da reality show. Ne scrive Rita Querzé sul Corriere oggi. Al momento è una bozza di cooperazione formativa tra università, imprese e, soprattutto, Regioni. Che sono titolari delle iniziative formative ma di solito non brillano. Come che sia, abbiamo l’immancabile acronimo italiano: GOL, che sta per “garanzia di occupabilità dei lavoratori”. Di questo passo, a breve avremo il Centro Assistenza Zuzzurelloni a Zonzo Occupabili, vedrete. A voi l’acronimo.
Un impressionante reticolo di agenti di formazione a vario titolo accreditati, il cui coordinamento e il cui syllabus deve essere riscritto da zero, calibrandolo su competenze e istruzione dei lavoratori. Impresa titanica, nel paese che ha mandato in vacca l’idea già assai astratta di navigator. Capita, quando la fantasia assistenzialista sposa il marketing politico.
Prendete i CPIA, i centri provinciali di istruzione degli adulti, che oggi potrebbero essere utilizzati come riedizione digitalizzata delle famose 150 ore. Come scrive oggi Querzé, “il problema è che “tali centri sono da attrezzare: vanno cablate le sedi scolastiche, acquistati computer e laboratori, assicurate le connessioni. E poi formati i formatori.” E ci risiamo: partiamo dai banchi a rotelle per far accomodare i fruitori, e arriviamo ad assumere nuove figure di navigator. Vi ricorda nulla?
Quanto (e a chi) rende la formazione?
Ma soprattutto: quale è stata la performance della formazione, in Italia, al netto del business per i formatori? Abbiamo riscontri di efficacia ed efficienza di reimpiego per i fruitori? Anche qui, spendiamo i soldi del Recovery, e poi vediamo che accade.
Andiamo avanti: metteremo altri soldi sul Reddito di cittadinanza, tra 800 milioni e un miliardo, dice Catalfo, perché durante la pandemia le domande sono salite del 25%. Vorrei precisare che per me non è affatto uno scandalo che ammortizzatori sociali di questo tipo vengano tirati maggiormente durante una crisi economica senza precedenti.
Il problema è cosa accadrà quando la crisi sarà alle spalle, perché il reddito di cittadinanza appare, per motivi che ho elencato alla nausea, come una trappola micidiale per agevolare il sommerso e fare evaporare le basi imponibili, in un movimento asimmetrico che esalta l’isteresi italiana.
Quindi: buona l’idea di “fare formazione”, pure permanente, per adeguarsi ai mutamenti e alla crisi. Ma il concetto astratto deve essere calato nella realtà fattuale, e qui conosciamo il nostro track record e la nostra incapacità organizzativa, che spesso scade nella complicità all’illecito. Il rischio letale è che tutto si risolva in più soldi e più sclerotizzazione. E non basterà un acronimo o nuovi gazebo petalosi, per uscirne.
L’intervista a Catalfo si conclude col solito peana per i navigator, “nostri ragazzi laureati col massimo dei voti e che hanno profilato 800 mila beneficiari del Reddito di cittadinanza”, e che la ministra spera di poter almeno prorogare, alla scadenza contrattuale di aprile.
Siamo app(osto)
Ma ecco, all’improvviso, una clamorosa rivelazione. Ricordate il problemino del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, sia geografica che di competenze, che Luigi Di Maio aveva ritenuto di risolvere con una prodigiosa app affidata a un prestigioso expat italiano, che dicunt abbia fatto mirabilie nell’iconico Mississippi?
La App che doveva incrociare domanda e offerta di lavoro è rimasta una chimera.
“Esiste già: l’incrocio avverrà con l’app IO, usata per il cashback e presto anche per la Cig unica”
E qui parte la famosa “domanda di Carlo Verdone”: in che senso?
Ci sarà un unico ammortizzatore per tutti i lavoratori e tutte le imprese, facile da richiedere usando anche l’app: basterà spuntare le ore di Cig. Niente più Iban, Sr41 e altre contorsioni burocratiche. Il 2020 è stato disastroso per la Cig, è ora di semplificare. E se quello passato è stato l’anno dell’Inps, in prima linea sulle politiche passive, questo sarà l’anno dell’Anpal per le politiche attive. Confido nel presidente Parisi, c’è molto da fare.
Un attimo: che c’entra la gestione della procedura amministrativa di Cig, futuribilmente esperibile sull’app IO, con l’incrocio di domanda e offerta di lavoro? E l’app usata in Mississippi, dove è finita? Vabbè, ce lo spiegherete la prossima intervista. Per tutto il resto, confidiamo nel presidente Parisi. Senza meno.