Unione europea, vera democrazia?

Il politologo John Fonte è uno dei principali esponenti del pensiero neoconservatore statunitense. A Washington dirige il Center For American Common Culture dell’Hudson Institute, occupandosi tra l’altro di immigrazione e assimilazione, relazioni internazionali, sovranità e democrazia costituzionale. In questo contesto, è interessante analizzare la critica che egli muove alla costruzione unitaria europea.

Secondo Fonte, è in atto uno scontro tra due Occidenti. Da una parte, l’Occidente che continua a credere nello stato nazionale e nei principi di democrazia liberale, che raccoglie i cittadini americani e gli europei che si battono contro lo strapotere della burocrazia di Bruxelles. Dall’altra parte, il modello della “democrazia transnazionale”, fondato su principi di “global governance” e sul ruolo di organismi sovranazionali come quelli comunitari, o su altri come la Corte di Giustizia internazionale. I “progressisti transnazionali” sono portatori di una sorta di pensiero post-democratico. Lo scontro tra queste due visioni è uno dei conflitti più importanti a cui assisteremo nel ventunesimo secolo.

In particolare, secondo Fonte, nel sistema autenticamente liberal-democratico esiste un sistema di leggi votate da rappresentanti liberamente eletti, che devono rispondere direttamente agli elettori. Al contrario, le organizzazioni sovrannazionali e transnazionali non hanno questo vincolo, e sono espressione di una presunta “cittadinanza globale” alternativa a quello che egli chiama il concetto di patriottismo, e non devono rispondere a rappresentanti eletti. Sulla base di questo assioma discende il rifiuto della Corte di Giustizia Internazionale: in alcuni paesi i giudici devono rispondere ai parlamenti e comunque operare sulla base delle leggi da essi decise, mentre tale organismo sarebbe autoreferenziale, traendo da sé la propria legittimazione, a parte la statuizione di pochi e generali principi di funzionamento.

Secondo Fonte, la democrazia liberale rischia di essere sconfitta dai regimi ibridi transnazionali, che sono creati sulla base di una sorta di gigantesco neo-consociativismo basato non sul patriottismo, ma sull’appartenenza a gruppi sociali di riferimento: neri, donne, poveri. In particolare, il padre spirituale di questa concezione della democrazia sarebbe Antonio Gramsci, che storicamente sottolineava l’importanza dell’essere coscienti di far parte di un gruppo. In Francia, ad esempio, esistono delle quote riservate alle donne per l’elezione dei consigli provinciali. Come si nota, tutto il pensiero di Fonte è radicalmente avverso alla politica della affirmative action, che tutela le minoranze e promuove la loro integrazione nel corpo sociale. Prevale quindi l’ideale, a dire il vero un po’ consunto e vieppiù disconfermato, del mito americano del melting power intorno ai valori di una patria unificante e di una land of opportunity, dove l’individualismo rappresenta l’unico motore della società. Occorre quindi dire con forza che ogni individuo conta per quello che fa e non per la sua origine o peggio per l’appartenenza a qualche minoranza etnica, sessuale, o religiosa che si crede oppressa. Secondo Fonte, di fronte all’immagine di un uomo di colore in Gran Bretagna, i laburisti lo chiamerebbero “black“, i conservatori “british“. Secondo l’ideologia neogramsciana, invece, un uomo che fa parte dei “black people” continua a riprodurre gli stereotipi afro-americani, mettendo in pericolo le basi stesse della democrazia liberale.

In sintesi, la nuova Europa nascerebbe come una enorme costruzione neo-consociativa, senza idealità forti, e avrebbe quindi in sé i germi dell’autodistruzione e, peggio, l’assenza di una vera impronta democratica. Peraltro, tutti siamo consapevoli (soprattutto noi italiani…) che i patti consociativi funzionano solo quando la “torta” ha dimensioni tali da poter essere redistribuita sotto forma di “fette”, e non di briciole, altrimenti il sistema è condannato all’involuzione e alla stagnazione. Si tratta, come si intuisce, di temi forti, non sempre condivisibili. Si pensi all’assenza di una politica scelta di pari opportunità, che tutti sentiamo idealmente dovrebbe esistere, ma che tutti o quasi sentiamo già condannata in partenza, schiacciata dalla burocratizzazione e dal prevalere di comportamenti opportunistici e parassitari che favoriscono la prevalenza dei mediocri irreggimentati sui “cani sciolti” di valore…

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