Programmi

A noi, tutto sommato, Alessandra Mussolini sta simpatica. Portatrice di un interessante femminismo, che spesso l’ha vista in rotta di collisione con l’integralismo cattolico di ampia parte della Casa delle Libertà, ci è sempre parsa un caso di “anomalia” politica nel senso di assenza di calcolo e passione spesso naif. Per questo crediamo che, nella vicenda delle firme di lista falsificate, sia rimasta vittima di una delle tante, troppe porcherie che caratterizzano la politica italiana. Quello che della Mussolini non ci è mai piaciuto è l’orgoglio con il quale parla della figura del nonno, quasi rappresentasse ancora oggi un modello politico da seguire. Se è vero che le colpe dei nonni non dovrebbero ricadere sulle nipoti, è altresì vero che Alessandra avrebbe potuto fare politica da posizioni lievemente meno estremiste. Invece, la sua passionalità ed ingenuità (lo diciamo in senso positivo) l’hanno fatta entrare in rotta di collisione con i vertici di An, partito che, non senza astuzie, si è definitivamente lasciato alle spalle il Ventennio. Ora, ci risulta davvero incomprensibile il motivo per cui, dopo essere stata truffata da personaggi interessati e da occasionali e mefitici compagni di strada, abbia deciso di invocare “la democrazia”, concetto verosimilmente alieno alla cultura politica di suo nonno. Ci sono state irregolarità? Pare di si, quindi di cosa stiamo discutendo? E’ opportuno e necessario avviare delle verifiche in tutto il paese, ma che c’entra tutto questo con la democrazia? Forse che una che di cognome fa Mussolini deve necessariamente poter violare le regole, altrimenti è segno che è scattata la conventio ad excludendum? E poi, ecco l’abituale riflesso italico del “tengo famiglia”: mia zia (la Loren) non ci dorme la notte, i bambini (le creature) piangono e vogliono la mamma, etc etc. La Mussolini ringrazi soprattutto la sinistra, che ha dato per l’ennesima volta prova della propria “eticità”, quella di cui il professor Prodi si riempie la bocca ad ogni piè sospinto, raccogliendo firme (pure false) per mettere un cuneo nello schieramento avversario. Vistisi scoperti con le mani nella marmellata, ecco Marrazzo e Violante uscirsene dicendo che si tratta di “beghe interne alla destra”. Impareggiabili.

Intanto, in Lombardia, il Carneade che sfiderà Formigoni, tal Riccardo Sarfatti, ha finalmente elaborato un programma degno di tale nome, che porta in giro per piazze e mercatini rionali. Il programma è molto semplice: in Lombardia non funziona nulla, Formigoni è il ventriloquo di Berlusconi, la regione è soggiogata al volere romano. Unitamente a qualche altra perla, del tipo “aboliremo i ticket sanitari, perché se la Regione può sborsare 800 milioni di euro per la Sea, allora ciò significa che i soldi ci sono e possono essere utilizzati per la spesa sociale”. Ora, Sarfatti nella vita fa l’imprenditore, motivo preponderante per il quale è stato scelto come candidato, in ossequio al tic nervoso della sinistra secondo il quale la leggendaria “società civile” può essere rappresentata solo da imprenditori illuminati ed amici delle masse, salvo poi criticare aspramente l’imprenditore che da quasi un decennio è sindaco di Milano, quotidianamente dileggiato ed esecrato in quanto espressione delle oscure forze della conservazione. Sarfatti però è un imprenditore molto sui generis, un imprenditore che non riesce a distinguere tra spese correnti ed investimenti in conto capitale. Le seconde (come l’eventuale acquisto del 30 per cento della Sea) possono essere effettuate anche accendendo mutui, le prime (come la sanità) no. Se questo tipo di demagogia rappresenta il prodotto delle varie “fabbriche” prodiane, forse è meglio studiare la vita e le opere di Achille Lauro, quello che prima delle elezioni regalava un pacco di pasta ed una scarpa destra, rinviando la consegna della sinistra al dopo voto. Nel programma sarfattiano vi sono poi delle autentiche perle, quali la constatazione che il tasso di abbandono scolastico in Lombardia sarebbe tra i più elevati d’Italia, ed occorrerebbe intervenire per porvi rimedio. Sembra quasi di essere finiti nel Regno di Napoli, quello dove impera ‘O Governatore, quello che non riesce a venire a capo della raccolta dei rifiuti in mano alla criminalità organizzata, quello che ha messo un’addizionale regionale sulla benzina, rendendola la più costosa d’Italia, quello che finanzia con soldi pubblici i corsi regionali per diventare veline, un antidoto certo al fenomeno dell’abbandono scolastico precoce. Queste sono le linee politiche di “coesione sociale” che piacciono a Prodi ed ai suoi grigi burocrati periferici, travestiti da imprenditori.

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