Il mercato ed i neocoM

Dapprima, i fatti:

MILANO (Reuters) – A stretto giro di posta dalla sconfitta nelle elezioni regionali, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha ceduto il 17% di Mediaset.

La finanziaria di famiglia Fininvest resta comunque saldamente al controllo con il 34,3% del capitale.

Fininvest ha infatti annunciato questa mattina in una nota di aver avviato, con una procedura di accelerated book-building, il collocamento sul mercato azionario presso investitori istituzionali italiani ed esteri di 197 milioni di titoli ordinari Mediaset, pari al 16,68% del capitale sociale.

Fininvest ha concordato un lock-up di 180 giorni.

Secondo quanto riferiscono alcuni dealer, il prezzo del collocamento è tra 10,7 e 10,9 euro per azione, poco oltre i 2 miliardi di euro.

Il legame dell’operazione con il clima politico italiano è stato esplicitato dalla stessa Jp Morgan, che ha curato il placement, confermando almeno in parte l’immediata lettura degli operatori di borsa.

“La scelta della tempistica del collocamente segue fondamentalmente anche il contesto politico con l’esito delle recenti elezioni regionali” ha detto Francesco Cardinali di JP Morgan durante una conference call organizzata dalla banca d’affari cui erano presenti anche alcuni manager di Mediaset.

Alle regionali di inizio aprile la coalizione di centro destra ha subito una pesante sconfitta, vincendo solo in due regioni su 13. Il risultato ha portato a una discussione all’interno del governo in vista delle prossime politiche.

Da Londra, un altro analista sottolinea il momento ideale a cui è stata venduta la quota, non lontano dai massimi dell’anno di 11,26 euro raggiunti a fine marzo.

“E’ il momento migliore per vendere perchè le pressioni su Berlusconi potrebbero aumentare e magari deprimere il titolo. L’importante è che la famiglia Berlusconi abbia ancora il controllo della società”, dice l’analista che aggiunge: “Il timore, ora, è se Fininvest ridurrà ulteriormente la sua partecipazione sotto il 30% a in prossimità delle elezioni”.

Cardinali di JP Morgan ha sottolineato che con tale operazione Fininvest intende “rafforzare il disegno strategico di Mediaset dando maggiore liquidità al titolo, mantenendo nel contempo la stabilità di azionariato e management”.

La decisione di Fininvest, si legge nella nota che annuncia il collocamento, “ribadisce la scelta strategica avviata con la quotazione di Mediaset di un’apertura sempre maggiore al mercato”.

“Con le risorse rese disponibili – prosegue la nota – Finivest sarà in condizione di azzerare le proprie passività finanziarie e di poter contare su una rilevante liquidità da destinarsi a possibili nuovi investimenti”.

Nel contempo, con il suo 34,3% di partecipazione diretta e indiretta post collocamento, la società “potrà continuare ad assicurare a Mediaset la stabilità sia di un azionariato di riferimento, sia delle competenze manageriali”.

Il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e l’ad Giuliano Adreani esprimono in una nota “soddisfazione” per l’operazione che “utilizza uno strumento di mercato per l’ulteriore ampliamento del flottante della società”.

La traduzione: Fininvest scende al 34.3 per cento del controllo azionario di Mediaset, sotto la maggioranza assoluta, dando mandato a JPMorgan di organizzare una procedura di accelerated book building (cioè di trattativa privata) per classare presso investitori istituzionali italiani ed esteri un 16.68 per cento di Mediaset in suo possesso. L’operazione prevede una clausola di lock-up di 180 giorni: di fatto, gli acquirenti di tale pacchetto azionario o di sue parti si impegnano a non vendere sul mercato le azioni per non meno di sei mesi, per non deprimere le quotazioni azionarie di Mediaset.

La dietrologia: secondo il centrosinistra, l’operazione cela oscure manovre plutocratiche. Secondo il capopopolo Beppe Giulietti, capogruppo Ds in Commissione di Vigilanza sulla Rai,

“E’ del tutto evidente che la vendita delle azioni Mediaset abbia come obiettivi ottenere liquidità per la campagna elettorale, avere una forte penetrazione nel principale quotidiano nazionale e controllare la Rai”.

E c’è chi arriva a ipotizzare mire direttamente sul primo quotidiano del Paese, il Corriere della Sera, il cui direttore Paolo Mieli proprio oggi è stato ricevuto a palazzo Grazioli.

L’Unità, che durante tutta la giornata mantiene online la corbelleria di deridere Berlusconi “che perde anche in Borsa”, perché il prezzo delle azioni Mediaset si è riposizionato intorno al livello di 10.70 euro, limite inferiore del prezzo di collocamento, alla fine riesce a recuperare da qualche polveroso cassetto il Bignami del perfetto demagogo finanziario e ripiega sulla teoria del complotto plutocratico.

Come spiega Prodi, quella di Fininvest «è solo un’operazione finanziaria e come tale va giudicata». Il conflitto d’interessi? «Non c’entra niente. Berlusconi resta il resta il proprietario, mantiene il controllo». Anche secondo Piero Fassino, «è un’operazione che consente di fare liquidità al gruppo Mediaset ma è squisitamente aziendale».

Il Tg3, sempre più realista del re, e dotato di scarsissima cultura finanziaria, impegnato com’è a rincorrere tutti girotondi no-global del pianeta, rilancia nell’edizione delle 19 la tesi del proprio ghost-writer Giulietti, sulla liquidità derivante dalla cessione che “servirà a finanziare la campagna elettorale di Berlusconi” (???)
Secondo Vincenzo Visco, Berlusconi avrebbe iniziato a monetizzare Mediaset perché consapevole che la prossima sconfitta della CdL alle politiche finirebbe con il deprezzare pesantemente il valore aziendale di Mediaset, a seguito della più che probabile abrogazione della legge Gasparri. Potrebbe anche essere una spiegazione razionale.

Anche la mosca-cocchiera di Largo Fochetti, colpita da abituale riflesso pavloviano, spara online tre-editoriali-tre in apertura di mattinata sulle diaboliche macchinazioni dell’uomo di Arcore, e sull’atto eversivo rappresentato dal monetizzare un proprio asset, impiegandone come meglio si reputa la liquidità così ottenuta, una pratica che inizia ad entusiasmare anche i comunisti cinesi, ma evidentemente non quelli italiani.

Nessuno ha però evidenziato un punto: Fininvest non controllerà più la maggioranza assoluta del capitale azionario di Mediaset. In altri termini, Mediaset diventa scalabile. Un Rupert Murdoch di passaggio potrebbe quindi lanciare un’offerta pubblica d’acquisto sul capitale Mediaset, e potrebbe quindi estrometterne l’attuale azionista di controllo. Ciò vale, è opportuno sottolinearlo, in caso la cessione annunciata oggi non rechi clausole occulte con patti di riacquisto a favore di Berlusconi.

Sintetizzando: Mediaset appare scalabile e contendibile, la sinistra inizia a perdere le argomentazioni sulle quali ha costruito da oltre dieci anni la propria retorica “programmatica”. Certo, il fatto che ora Mediaset sia contendibile non vuol necessariamente dire che verrà scalata, ma è già un buon passo avanti per ridare al mercato la parola sui destini di uno dei principali gruppi editoriali europei e mondiali. Ben altra cultura del mercato si riscontra nei giochetti nostrani, quelli che vedono ad esempio una Banca Monte dei Paschi non contendibile perché controllata oltre il 50 per cento dall’omonima fondazione, oppure una Banca Popolare di Lodi che rastrella il 29.9 per cento del capitale di Banca Antonveneta per ostacolare l’opa totalitaria (cioè sul 100 per cento del capitale azionario, a beneficio anche dei piccoli azionisti di minoranza) degli olandesi di Abn Amro senza avere l’obbligo di lanciare a sua volta un’offerta pubblica d’acquisto, obbligo che per la legge italiana scatta al raggiungimento del 30 per cento. Che dietro queste brillanti operazioni di capitalismo moderno ci sia qualche advisor prestigioso? Magari un advisor d’eccezione, con sede a Roma in via Nazionale? Mah, chi può dirlo…

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