Il paese, che già oggi si dibatte in una crisi strutturale che rischia di avvitarsi su sé stessa, non potrebbe tollerare un altro anno di estenuanti verifiche che non verificano, di vertici di maggioranza, di dichiarazioni entusiastiche sulla “ripresa di slancio” del programma di governo e di ottimismo da televendite, di pensose e solenni dichiarazioni sull’”interesse del paese”. Immaginate cosa succederebbe alla prossima legge Finanziaria, con un maggioranza in queste condizioni.
Inoltre, mai come in questo momento i conti pubblici appaiono incapaci a sopravvivere ad un classico ciclo di spesa elettorale, come quello che si può facilmente prefigurare oggi, leggendo dichiarazioni programmatiche che straparlano di “rilancio del Mezzogiorno”. E come dovrebbe avvenire, questo rilancio? Ci sono, in sostanza, due modi per ottenerlo. Il primo consiste nell’affiancare, ad un ferreo controllo del territorio da parte dello Stato (fino al limite della militarizzazione), la progressiva “decostruzione” e ricostruzione dell’economia meridionale, attraverso robuste dosi di liberismo. Per dare contenuto alle parole, più liberismo significa accettare l’esistenza di un gap di produttività al Sud rispetto alle aree più sviluppate del paese. Parafrasando Bertinotti, se non vogliamo chiamarle gabbie salariali, troveremo un altro nome.
L’altro modo per “rilanciare” il Mezzogiorno è quello tipicamente (ma non esclusivamente) mastelliano: infrastrutture pubbliche a pioggia e sussidi “ombra” alla spesa corrente. Non che la dotazione infrastrutturale del Sud sia completa e compiuta, ma nutriamo forti dubbi circa le capacità di programmazione della classe politica italiana, senza distinzioni. Secondo voi, a meno di dodici mesi dalle elezioni, quale impostazione prevarrebbe in un Berlusconi-bis?
L’altra motivazione a favore di elezioni immediate è rappresentata proprio dall’attuale condizione economica, europea ed italiana: un forte rallentamento, non solo congiunturale, la pressione della globalizzazione e dei paesi di nuovo ingresso nell’Unione Europea, la disoccupazione crescente in tutta Eurolandia, le retribuzioni nominali che in alcuni Paesi (Germania) vengono addirittura tagliate per salvaguardare i posti di lavoro, in una drammatica battaglia di retroguardia. Si tratta di un passaggio epocale, una sfida della modernizzazione senza precedenti, che richiede la rottura di corporativismi e circoli viziosi. Se l’Unione prodiana si trovasse a governare ora, le contraddizioni e le furbizie che caratterizzano uno schieramento privo di programma e che si è finora limitato a giocare di rimessa sulla masochistica dabbenaggine della fu-maggioranza, esploderebbero in modo devastante ed irreparabile. Una salutare lezione di vita per la disonestà intellettuale di chi sta tentando di vendere il Colosseo non ai giapponesi, ma agli elettori italiani.
Che farà l’Unione quando dovrà gestire il collasso finale di Fiat, purtroppo sempre più prossimo, e che ha trovato un sinistro presagio proprio in queste ore nel caso MG Rover nel Regno Unito? E che farà quando dovrà gestire l’agonia di Alitalia, divorata da decenni di cupidigie bipartisan e dalle termiti di un sindacalismo che non tutela più i diritti dei lavoratori? Un altro punto, non marginale: una delle caratteristiche più dirompenti dei tagli d’imposta è la loro scarsa o nulla “reversibilità politica”. Come ripristinare le precedenti aliquote senza provocare nuovi malumori nell’elettorato? Non si tratta di cifre imponenti, ma suggeriremmo di leggersi un testo di finanza behavioristica per trovare alcune illuminanti risposte al riguardo. E ancora: come pensa, l’Unione prodiana, di finanziare la soppressione dell’Irap, imposta introdotta dal precedente governo Prodi e dichiarata illegittima dall’Unione Europea? Come finanziare la riduzione del cuneo fiscale tra retribuzioni lorde e nette? Come finanziare le fusioni necessarie per aumentare la concentrazione industriale?
Si voti subito. Berlusconi perderà, ma riuscirà (forse) a sopravvivere politicamente, ed avrà modo di riflettere sull’efficacia di una comunicazione politica vuota e ritualistica, e con un po’ di fortuna troverà pure qualche consigliere che gli spieghi che i problemi delle imprese si risolvono anche con la riforma delle professioni, del diritto fallimentare, del risparmio, che a due anni dal crac Parmalat ancora attende il voto del Senato, con le liberalizzazioni dei mercati del gas e dell’energia elettrica, per le quali nulla è stato fatto in quattro anni di un governo sedicente liberale, evidentemente infiltrato da legioni di lobbisti molto preparati. L’Unione vincerà, ma sarà una vittoria di Pirro. Il moralismo livido ed impotente di Piero Fassino, la politica politicante,guascona ed eterea di Francesco Rutelli, il giustizialismo forcaiolo di Antonio di Pietro, l’assistenzialismo irizzante di Masaniello Mastella e del suo “partito etnico”, il guevarismo de noantri di Diliberto e Cossutta, il movimentismo onirico di Bertinotti, l’ecologismo massimalista di Pecoraro Scanio ed il neo doroteismo estremista dell’ex presidente della Commissione Europea reciteranno l’ultima commedia degli equivoci e degli inganni, prima della palingenesi finale. Come diceva l’economista italiano Maffeo Pantaleoni, “nulla è più vendicativo dell’economia”.