Il Grande Unificatore

Ogni anno, nel breve spazio di poco meno di una settimana, in Italia si celebra la Liturgia della Divisione. Il 25 aprile ed il Primo Maggio ci regalano una formidabile colata di luoghi comuni (e comunisti) su un paese distratto e indifferente, malgrado i quotidiani tentativi di elettroshock mediatico che cercano con ogni mezzo di accreditare l’idea di un’Italia ormai trasformatasi in una dittatura, priva peraltro del caratteristico benefit dei treni in orario. Del 25 aprile abbiamo già letto e sentito di tutto. Quest’anno il tema è stato la difesa dell’attuale Costituzione, per promuovere il quale si sono scomodati in tanti, non ultimo il neo-girotondino, e presidente “emerito” della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro. E proprio questa simbolizzazione strumentale, ossessiva, moralistica e bigotta rappresenta il vero surrrogato della persistente assenza di un programma della coalizione di Progresso. Anche oggi, festa del lavoro e dei lavoratori, la sinistra sociale e politica ha riproposto i propri rituali, quest’anno con la manifestazione unitaria a Scampia, nella patria di ‘O Governatore, rieletto con uno stupefacente 61 per cento di consensi, per trasmettere il concetto, davvero rivoluzionario, del legame indissolubile tra legalità e sviluppo. Interessante proposizione, vedremo come sarà declinata quando si tratterà di assumere inevitabili iniziative repressive che si scontreranno con gli abituali sociologismi per i quali la colpa è sempre del sistema e mai dei singoli.
Anche quest’anno, poi, il Tg3 ci mostrerà le statistiche sulle “morti bianche” nei cantieri, quelle stesse che vengono abitualmente dimenticate quando la sinistra è al governo. Ad interrompere il simbolismo ludico ed evasivo dei sindacati confederali ha pensato il professor Pietro Ichino, con un editoriale sul Corriere. Secondo il quale il sindacato, oltre ad esibirsi in queste abituali pratiche declamatorie, dovrebbe assumere delle iniziative forti per creare un dialogo con Confindustria, anche bypassando un governo ritenuto imbelle. Questa è l’essenza del leggendario “patto tra produttori” di cui talvolta straparla Eugenio Scalfari. Ma ciò non avviene, perché i sindacati sono profondamente divisi tra loro. Scrive Ichino:

“Nel luglio scorso il neo-eletto presidente della Confindustria Cordero di Montezemolo invitò i sindacati a una trattativa, mettendo subito sul tappeto una proposta circa il nuovo assetto della contrattazione collettiva. Il segretario della Cgil abbandonò bruscamente il tavolo con questa motivazione: «Non possiamo incominciare a discuterne prima di aver elaborato una posizione unitaria delle tre confederazioni sindacali su questo punto». Due commissioni di esperti di Cgil, Cisl e Uil avrebbero dovuto elaborare soluzioni condivise da proporre a loro volta agli imprenditori, una sulla riforma del sistema della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, un’altra sulla struttura della contrattazione collettiva. Le due commissioni, riunitesi in autunno, si sono limitate a constatare dissensi apparentemente insuperabili. Poi, non un solo passo avanti: silenzio totale per un lungo semestre (durante il quale, come era prevedibile, tutti i problemi sono andati aggravandosi). Come se la questione non interessasse più a nessuno.”

Ovviamente, è molto più semplice e politicamente premiante fare incancrenire i problemi per poterne attribuire la responsabilità all’Uomo Nero di Arcore ed ai suoi odiosi sobillatori leghisti, molto più premiante del penoso spettacolo di azzuffarsi per motivi scarsamente (o forse fin troppo) comprensibili dall’opinione pubblica, casualmente costituita in misura preponderante da lavoratori. Motivi ad esempio riconducibili al fatto che la Cgil è prigioniera del collateralismo che la lega alla sinistra (più radicale che riformista) ed è strenuamente impegnata ad evitare di farsi scavalcare e disintermediare a sinistra dagli apprendisti stregoni dei Cobas.

Noi riteniamo che, per superare il gap di produttività che separa il Mezzogiorno dal Nord del paese, occorra decentrare la contrattazione collettiva, per meglio aderire alle peculiarità territoriali e settoriali dell’economia. Ichino ed il Corriere hanno tentato di lanciare un messaggio in bottiglia alle parti sociali:

“Nelle settimane scorse, avvicinandosi la ricorrenza simbolica del 1° maggio, il Corriere ha tentato di riattivare il confronto. In un mio articolo del 25 marzo ho formulato questa proposta: poiché un’intesa strategica unitaria appare oggi impossibile, ci si accordi almeno su di un meccanismo semplice e snello che attribuisca ai lavoratori il potere di scegliere ogni due o tre anni la coalizione sindacale abilitata a contrattare con pieni poteri ed efficacia generale, nell’ambito di una categoria, oppure di una regione, o di una singola azienda; e si accetti la possibilità che, in questo modo, coalizioni maggioritarie diverse possano sperimentare, a livello di settore, di regione o di azienda, strategie differenti, anche eventualmente tra loro contrapposte. La solidarietà tra le confederazioni si manifesterà, così, almeno in un patto di rispetto reciproco, nell’accettazione del possibile confronto tra modelli di sindacalismo differenti, legittimamente sperimentati in diversi contesti e a diversi livelli.
A quell’articolo hanno risposto tutti: la Cgil confermando la propria storica preferenza per la regolamentazione della materia per legge; Cisl, Uil e Confindustria manifestando invece la propria preferenza per un accordo interconfederale; tutti comunque riconoscendo la necessità di darsi una regola generale che consenta di uscire dall’impressionante paralisi in cui si trova, ormai da tempo, il nostro sistema di relazioni sindacali di fronte alla crisi gravissima dell’economia nazionale.”

L’arenarsi sulle secche della scelta pregiudiziale dello strumento (legge ordinaria, come vorrebbe la Cgil, o accordo interconfederale come gradirebbero Cisl, Uil e Confindustria) mostra tutte le divisioni della sinistra sociale e partitica, che non trova di meglio che lucrare sulla presunta inazione della maggioranza di governo per far crescere il proprio consenso, in attesa del tristissimo (per quanti avranno abboccato agli slogan) e drammatico (per il paese) redde rationem dell’arrivo dell’Unione al governo.

Strano destino, quello di Silvio Berlusconi: incapace di tenere coesa una coalizione di governo, incapace di incidere significativamente sulle dinamiche pubbliche di un paese, ma artefice della Grande Unificazione dell’opposizione, nel nome di un antifascismo “senza se e senza ma”, ben più grottesco dell’ormai frusto anticomunismo del premier.

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