L’Uomo antropologicamente e moralmente superiore si riconosce, di solito, da alcune caratteristiche: l’attitudine a disegnare grandi scenari futuri, tutti rigorosamente kantiani, improntati all’armonia ed alle magnifiche sorti e progressive dell’umanità, purché la medesima si conformi gesuiticamente (perinde ac cadaver) ai dettami ed ai precetti morali del progressismo chiaroveggente. Oppure, si può riconoscere dalla propensione a riabilitare eventi, persone ed idee a distanza di molti anni o decenni. Ma soprattutto, l’homo sinister si riconosce dalla caratteristica amnesia selettiva, che lo porta a reinterpretare la storia (e la cronaca) omettendo tutti quei “dettagli” che non si adattano al proprio teorema. Anche Ezio Mauro appartiene a pieno titolo alla categoria, e non poteva essere diversamente, essendo stato scelto per succedere, nella direzione della Pravda di Largo Fochetti, al nouveau philosophe Eugenio Scalfari.
Mauro, dunque, non si sottrae all’esercizio intellettuale preferito dalla categoria a cui egli appartiene: tranciare diagnosi e prognosi mentre reinterpreta la storia, essendo tuttavia affetto da amnesia selettiva.
Dal suo editoriale di oggi, dedicato alla vittoria del no anche nel referendum olandese sulla ratifica del Trattato costituzionale europeo, apprendiamo che
proprio qui era cominciato tutto già tre anni fa, quando l’esecuzione pubblica di Pim Fortuyn avrebbe dovuto segnalare la perdita dell'”innocenza” per tutto il continente insieme con una scomoda novità: il modello di un’Europa multiculturale, virtuosa, comunitaria e politicamente corretta poteva essere infilzato e denudato dal moderno populismo di un leader che usciva in limousine dalle vecchie categorie di destra e sinistra, mettendo fuorigioco la politica tradizionale per rappresentare il nuovo spaesamento europeo con una voce talmente alta e talmente inconsueta da eccitare gli spari del suo assassino.
Nessun riferimento al fatto che Pym Fortuyn, che la pubblicistica “progressista” italiana tende a presentare come un becero razzista miliardario, era prima di tutto un libertario che ne aveva le tasche piene di essere definito “maiale” dall’intoccabile predicatore alieno di turno, che utilizza la tolleranza (o l’indifferenza) europea per seminare odio a piene mani, sovreccitando menti malate, per il solo fatto di essere gay. A maggior ragione, Mauro ben si guarda dal citare l’assassinio di Theo Van Gogh, perché altrimenti il suo teorema cadrebbe a pezzi.
Mauro prosegue, invece, con la critica agli Stati Uniti, il “Grande Vecchio” del pianeta, la tabe che ostacola il raggiungimento dell’Eden kantiano in Europa e nel mondo:
Nel ritardo europeo, invece della politica si sono infilate le inquietudini dei cittadini. Lo spaesamento, la perdita di controllo di fronte all’idea (molto favorita dagli Usa) di un’Europa-pizza, sempre più sottile nel cuore del suo significato e sempre più larga nei suoi bordi indistinti. L’incertezza identitaria ha trasmesso agli europei un sentimento di alienità a casa propria e, di nuovo, di un’Europa come “altrove”.
Ma Mauro dimentica che il mantra ossessivo degli europeisti moralmente ed antropologicamente superiori è da sempre quello di procedere ad un allargamento forsennato, non solo di tipo economico, ma anche e soprattutto politico, una sorta di “tutti dentro” che fatalmente produce straniamento e senso di sradicamento, senza che ciò significhi necessariamente titillare le corde della xenofobia, magari instillata da una qualche cospirazione esterna. Mauro e i suoi correligionari dell’Ordine del Tempio di Bruxelles hanno mai ipotizzato che la creazione di una zona di libero scambio potesse essere assai più funzionale all’obiettivo di produrre ricchezza e libertà di quanto non fosse la bislacca idea di portare (ad esempio) dei turchi a sedere in un parlamento europeo che legifera, assieme ai tecnocrati della Commissione, sulla curvatura delle banane? Una bella ripassata a Samuel Huntington, il tanto deprecato (dalla sinistra italiana ed europea) teorico dei “conflitti di faglia” tra civiltà, sarebbe stato opportuno ed illuminante. Invece, Mauro ed i suoi confratelli preferiscono trovare il capro espiatorio: la destra, il Moloch occulto delle Grandi Cospirazioni, il conato di vomito populista che impedisce la realizzazione dell’EuroFelicità.
La destra più povera culturalmente, bisognosa di cavalcare istinti, si muove a suo agio in questo spazio che è di per sé antipolitica. Riducendo l’Europa da visione a burocrazia, svalutando le sue conquiste e prima fra tutte l’euro, cortocircuitando in pochi mesi una costruzione di decenni, che ha insediato la pace nel luogo mondiale che ha incubato due guerre.
Siamo troppo reazionari per non ricordare ai neo-kantiani il ruolo insostituibile giocato dalle democrazie anglosassoni nell’”insediare” pace, democrazia, sviluppo ed un robusto ombrello militare (a costi prossimi allo zero) nel “luogo mondiale che ha incubato due guerre”, quando il medesimo era ridotto ad un cumulo di macerie fumanti.
Poi, con uno scarto improvviso, Mauro torna a parlare del nostro disgraziato paese: per ribadire l’esigenza del suo ancoraggio al virtuosismo europeo di bilancio, quel vincolo esterno senza il quale il Belpaese regredirebbe inesorabilmente verso il Sudamerica. Su questo punto concordiamo senza riserve, soprattutto dopo aver visto all’opera la classe dirigente (politica ed economica) di questo paese, che conferma quotidianamente la profezia fatta, dieci anni fa, da Giuseppe Tatarella: quello che altrove è un establishment, da noi è solo un insieme di poteri, nemmeno più forti. Ma Mauro non vuole passare per il neo-qualunquista che fa di tutte le erbe un fascio e va oltre, ricorrendo ad un’immagine “plastica” per esprimere il proprio snobistico sgomento nel vedere il palazzinaro parvenu Ricucci (“venuto chissà da dove”) seduto in prima fila, la fila che fu dell’Avvocato, all’Assemblea Generale della Banca d’Italia. Il tempo dirà chi è realmente Stefano Ricucci. Per ora, facciamo notare che il teorema in base al quale ogni corpo estraneo a quell’establishment che ha brillantemente contribuito ad affossare il paese, deve essere per forza un prodotto di oscure cospirazioni ed un riciclatore di denaro mafioso, regge tetragono al passare del tempo.
Mauro è terrorizzato all’idea che quella che per lui è un’infezione populista, euroscettica e rigorosamente destrorsa, possa alimentare e metastatizzare, a livello di (in)cultura politica, quel tumore demagogico, amorale e privo di progettualità che sarebbe stato introdotto in Italia dal berlusconismo. Ma, così facendo, egli omette il tassello fondamentale del puzzle: l’avversione viscerale che da sempre la sinistra radicale ed antagonista nutre per la costruzione europea, qualsiasi essa sia. Come conciliare l’europeismo da poteri forti di Romano Prodi con la costruzione del terzomondismo d’accatto ed antiamericanismo viscerale con cui Bertinotti vorrebbe forgiare l’Uomo Nuovo? E’ anche quello populismo? O peggio? La risposta agli smemorati euroipocriti neo-kantiani di casa nostra, ed al loro ammaccato giocattolo, quel grumo di desistenze incrociate chiamato, esorcisticamente, Unione.
Per terminare, un pensiero da oltreoceano, dall’editorialista del NYT David Brooks. Testata liberal, buon senso che tanto entusiasma i Rutelli ed i Fassino di casa nostra, quando tentano di declinare, con bell’accento bostoniano, i loro suoni politicamente inarticolati. Proveranno a scimmiottare anche questi concetti, brutalmente sgradevoli come solo la verità sa essere?
The core fact is that the European model is foundering under the fact that billions of people are willing to work harder than the Europeans are. Europeans clearly love their way of life, but don’t know how to sustain it.
Over the last few decades, American liberals have lauded the German model or the Swedish model or the European model. But these models are not flexible enough for the modern world. They encourage people to cling fiercely to entitlements their nation cannot afford. And far from breeding a confident, progressive outlook, they breed a reactionary fear of the future that comes in left- and right-wing varieties – a defensiveness, a tendency to lash out ferociously at anybody who proposes fundamental reform or at any group, like immigrants, that alters the fabric of life.
This is the chief problem with the welfare state, which has nothing to do with the success or efficiency of any individual program. The liberal project of the postwar era has bred a stultifying conservatism, a fear of dynamic flexibility, a greater concern for guarding what exists than for creating what doesn’t.
That’s a truth that applies just as much on this side of the pond.