Enzo Biagi: un uomo, un cronista, un’icona. Dicono che dopo essere stato allontanato dal prime time televisivo sia caduto in depressione, diventando ancor più elegiaco ed intimista che mai. Recupera una consistente vis polemica solo quando deve narrare le malefatte e le cadute di stile del Cavaliere. Il quale, per dirla tutta, è sempre talmente generoso da cercare di aiutarlo con ogni mezzo in quest’opera.
Biagi, come magistralmente spiegato da Federico Punzi (Jim Momo), si autodefinisce un “vecchio cronista da 60 anni”, e forse il problema sta proprio in questo. Contrariamente all’opera di beatificazione ed ai martirologi scritti in suo onore da interessati corifei (alter ego di quelli che albergano nella maggioranza), Biagi è “solo” un anziano giornalista, con una propensione compulsiva all’aneddotica spicciola, gabellata per saggezza. Ama infarcire ogni suo pezzo di citazioni, che di solito è possibile reperire in quei libri che si vendono nelle stazioni ferroviarie e negli aeroporti. Ha una pressoché nulla capacità di comprendere l’evoluzione del mondo che ci circonda, se non l’immancabile propensione, tipica della terza e quarta età nella vita delle persone, a galleggiare sui rimpianti e sul moralismo. Potremmo anche dire che siamo stati fortunati, se solo pensiamo a quale effetto sta producendo il tempo che passa su un coscritto di Biagi, il partigiano Giorgio, ma non è questo il punto. La pubblicistica culturalmente egemone ama dipingere Biagi, con l’abituale riflesso pavloviano, come un perseguitato politico, dopo quello che è stato definito “l’editto di Sofia”, cioè l’anatema che il premier avrebbe lanciato su di lui. Poi, le cose andarono in modo lievemente diverso da quello raccontato dalla vulgata tradizionale: Biagi rifutò ogni e qualsiasi ipotesi di collocazione nei palinsesti Rai che non fosse quella della striscia quotidiana nella fascia di massimo ascolto, quella in cui avrebbe potuto esercitare la propria arte di “vecchio cronista”, mentre porge il microfono a livorosi avversari di Berlusconi, in splendida solitudine ed olimpico distacco da quella cosa chiamata contraddittorio. Stiano tranquilli, i provinciali trombettieri di Unità e dintorni: il giornalismo anglosassone è altra cosa, se per giornalismo anglosassone non stiamo pensando a quello di Dan Rather, che si faceva vendere dalle proprie “fonti” il Colosseo e documenti vecchi di un trentennio, ma scritti rigorosamente in Word, per gettare l’abituale fango e liquame su Bush.
Biagi non si trova attualmente in un qualche gulag siberiano: ci risulta anzi che collabori stabilmente con il Corriere della Sera e numerose altre testate, il che ci fa sorgere il dubbio che questo Berlusconi sia proprio un incapace, anche nel ruolo di caudillo o padrino mafioso. Nessuno ha finora intentato azioni legali nei suoi confronti, e potrà quindi continuare a mantenere immacolato il proprio palmares di “vecchio cronista mai querelato”.
Personalmente, preferiremmo vederlo comunque in video, e forse ciò si verificherà col ritorno trionfale della democrazia in Italia di Romano Prodi al governo. In quella malaugurata ipotesi, ci e gli auguriamo di continuare ad esercitare il proprio ruolo di watchdog del potere senza guardare in faccia nessuno, ma proprio nessuno. E di trovare qualcuno che lo illumini su cosa nel frattempo sta diventando il mondo, ché non guasta mai, soprattutto per un cronista vecchio. Pardon, per un vecchio cronista.