Ricevendo al Quirinale l’emiro del Qatar, il presidente Ciampi ha colto l’occasione per ribadire il proprio mantra sulle misure preventive più efficaci nella lotta al terrorismo:
“La lotta contro il terrorismo internazionale, incluso quello riconducibile all’estremismo islamico è responsabilità preminente di tutta la comunità internazionale. E’ indispensabile operare con unitarietà di intenti, nella prevenzione, nella repressione, nella rimozione delle cause profonde che alimentano la minaccia terrorista. Anche dalla capacità di avviare a soluzione la crisi israelo-palestinese, di realizzare la pacificazione dell’Iraq dipende la possibilità di sottrarre larghe fasce di popolazione alla propaganda fondamentalista”.
L’emiro del Qatar, proprietario di quel modello di giornalismo investigativo e di denuncia civile chiamato al-Jazeera, a sua volta ha scolpito:
“Il terrorismo richiede la solidarietà di tutti, cosa indispensabile per arrivare a combatterlo alla radice, la soluzione del conflitto in Medio Oriente contribuirà a stabilizzare la regione. Bisogna mettere il popolo palestinese in grado di costruire un proprio stato con capitale Gerusalemme, secondo quanto stabilito dalle Nazioni Unite, sul territorio attualmente occupato” da Israele.
L’emiro ed il suo ospite parlavano all’indomani dell’attentato di Netanya, dove un adolescente palestinese si è fatto esplodere all’ingresso di un affollato centro commerciale, uccidendo due donne all’istante, ed una terza alcune ore dopo, a causa delle ferite. Una bimba di sei anni è stata gravemente ustionata nell’esplosione, e stessa sorte è toccata ad un’altra trentina di persone. L’attentato è stato subito rivendicato dalla Jihad islamica, a cui apparteneva il kamikaze diciottenne, ed altrettanto fulmineamente condannato da Mahmoud Abbas (Abu Mazen), in un macabro teatrino che si trascina da tanto, troppo tempo. Eppure, l’insanguinato vertice del G-8 si era concluso con la promessa solenne di altri aiuti finanziari ai palestinesi, 3 miliardi di dollari entro i prossimi anni, in un programma di assistenza concepito “in modo tale che due stati, Israele e Palestina, due popoli e due religioni possano vivere in pace, fianco a fianco”, come solennemente enunciato da Tony Blair nella dichiarazione conclusiva del vertice.
Per tutta risposta, i leader di Hamas, dopo aver dichiarato di “aver perso la fiducia” in Abbas, hanno ribadito che non consegneranno le armi e non cesseranno di lanciare attacchi ad Israele da Gaza, dopo lo sgombero delle colonie, “fino alla liberazione di West Bank e Gerusalemme“.
Si preannuncia quindi la formazione di un Gazastan integralista, destabilizzante ed armato, figlio di quell’islamofascismo che ha generato i tanti Londonistan che metastatizzano nel cuore dell’Europa. Un Gazastan la cui genesi sta venendo agevolata da Israele, G-8, Unione Europea ed Amministrazione Bush, con la loro visione della “pacifica coesistenza” di due stati, fedi religiose e popoli.
La creazione di un porto franco palestinese per il reclutamento, addestramento e pianificazione terroristica metterà in pericolo gli interessi americani in Asia, Europa ed Africa, oltre alle vite di innocenti cittadini europei, con la loro quotidianità fatta di spostamenti per lavoro, tempo libero, cure mediche, e la loro incancellabile colpa di vivere in questo peccaminoso modo. Ma quando conteremo nuove vittime di questa guerra, e ci domanderemo che fare e come vincerla, dovremo ancora ascoltare qualche vomitevole Quisling mentre pontifica con il ditino alzato, affermando che non sono stati lui né la sua fazione politica ad aver appiccato l’incendio, e al contempo richiederà nuovi e corposi sforzi finanziari per l’addestramento terroristico favorire la pacifica convivenza tra vittime e carnefici, mentre i predicatori del Gazastan e d’Eurabia saluteranno gli “atti benedetti” di Londra e dell’Iraq.