Gli Stati Uniti hanno offerto di ridurre del 60 per cento la “misura aggregata di supporto” ai propri agricoltori, purché Unione Europea e Giappone taglino i propri sussidi dell’83 per cento: l’offerta dell’Unione Europea è per un taglio del 70 per cento. Le apparentemente generose offerte hanno suscitato aspettative di un esito positivo dei negoziati in corso a Ginevra questa settimana. Tuttavia, grattando sotto la superficie, si scopre che miliardi di dollari in sussidi verranno rimossi dalla cosiddetta amber box, che è l’etichetta con cui la WTO classifica i sussidi pesantemente distorsivi della concorrenza, ma solo per rientrare dalla finestra della blue box, la specie di sussidi meno dannosi. In cambio di queste “generose” offerte, che non riusciranno ad incidere significativamente sulle condizioni di accesso ai mercati internazionali da parte dei coltivatori dei paesi asiatici (Cina, India e Vietnam) viene richiesta la possibilità, per le istituzioni finanziarie globali, di poter accedere alle classi medie di quei paesi ed al loro vastissimo potenziale di domanda.
Le lobbies dell’agribusiness sono già all’opera, dai due lati dell’Atlantico: negli Stati Uniti, dove ormai dagli Anni Trenta dello scorso secolo continuano ad estrarre tasse dalle tasche dei contribuenti, o come in Francia, dove il sindacato di categoria FNSEA ha già accusato il Commissario al Commercio, Peter Mandelson, di essersi “spinto troppo in là” nel negoziato.
Appare quindi altamente improbabile che l’attuale Doha Round di colloqui sul commercio mondiale, che dovrebbe concludersi nel 2007, riesca a produrre significative riduzioni nei sussidi agricoli.
Inoltre, poiché il diavolo si nasconde nei particolari gli Stati Uniti, non avendo ad oggi nessun sussidio imputato alla propria blue box, potrebbero semplicemente attribuire ad essa parte dei sussidi della propria amber box, mantenendo lo status quo ma incassando al contempo il dividendo politico ed economico di tale mossa.
Secondo le ultime statistiche, ben il 30 per cento dei redditi agricoli in area Ocse proverrebbero da sussidi, con punte del 54 per cento per i coltivatori di canna da zucchero. Sempre in area Ocse, si calcola che Unione Europea, Stati Uniti e Giappone incidano per l’82 per cento dei 279.5 miliardi di sussidi agricoli erogati lo scorso anno.
Secondo il Cato Institute, con il denaro pagato dal governo federale agli agricoltori tra il 1995 ed il 2003 (un costo dei sussidi che ad oggi pesa per circa 146 dollari l’anno sulle tasche di ogni famiglia di contribuenti), sarebbe stato possibile acquistare direttamente oltre un quarto delle aziende agricole statunitensi. E non è tutto: il primo 5 per cento dei percettori di sussidi intasca oltre il 55 per cento delle erogazioni complessive. In alcuni casi, tra i beneficiari figurano aziende presenti nella classifica Fortune delle prime 500 aziende per fatturato. Il grosso dei sussidi neppure raggiunge i piccoli agricoltori, che spesso si trovano in condizioni di reale difficoltà economica. Secondo il Cato Institute, nel 2003 la Riceland Foods Inc. di Stuttgart, in Arkansas, ha ricevuto sussidi per 68.9 milioni di dollari, più di quanto percepito da tutti gli agricoltori di Hawaii, Rhode Island, Alaska, New Hampshire, Connecticut, Massachusetts, Maine, Nevada e New Jersey messi assieme. Per rilanciare l’iniziativa liberista e promuovere una crescita economica globale meno sbilanciata, occorre che gli Stati Uniti si scoprano meno protezionisti. Solo così la loro vocazione liberoscambista potrà esercitare uno stimolo al cambiamento, e privare di argomenti ipocritamente terzomondisti i paesi “moralmente superiori”, quali quelli della Vecchia Europa.
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