E’ finalmente nato il governo Prodi, a dieci anni esatti dal precedente. Si tratta di un governo frutto di equilibrismi cencelliani contemperati con il robusto appetito diessino. Balza all’occhio la proliferazione di poltrone, frutto di spin-off ministeriali. Un tempo andava di moda semplificare, oggi la pletora di voraci cespugli di cui la maggioranza è infestata reclama il proprio strapuntino e talvolta qualcosa di più.
Fors’anche per governare la crescente complessità di quest’epoca globalizzata si è quindi deciso di procedere come segue: Attività Produttive (ora Sviluppo Economico), che perde Commercio Estero (che va con le Politiche Europee) e il Turismo (ai Beni Culturali); Infrastrutture, che perdono i Trasporti; Beni Culturali, che perdono lo Sport; Istruzione, che perde Università e Ricerca Scientifica; Welfare, da cui sono stati “soppalcati” tre ministeri: Lavoro, Politiche Sociali e Politiche della Famiglia.
Infine, sarebbero stati accorpati in una sola responsabilità ministeriale gli incarichi per i Rapporti con il Parlamento e le Riforme.
Inserendosi nell’ormai consolidata tendenza al revival dei bei tempi andati, spicca la ridenominazione del Ministero delle Attività produttive, ora Ministero per lo Sviluppo Economico, che con quel nome verosimilmente si cimenterà nella creazione di nuovi Gosplan. Emblematica anche la sorte del Ministero delle Infrastrutture: era stato proprio il centrosinistra ad unificare Infrastrutture e Trasporti, per poter dare una visione strategica al settore. Oggi, Prodi torna a dividere in due il ministero, affidando le Infrastrutture ad Antonio Di Pietro come aveva già fatto nel 1996. Di quell’esperienza si ricordano soprattutto i niet dei Verdi alla Variante di valico ed al raddoppio della Salerno-Reggio Calabria. Oggi quel ruolo d’interdizione spetterà all’esponente del Pdci Bianchi, neo ministro dei Trasporti. Suonala ancora, Tonino.