Libertà, fraternità, egualitarismo

Il sintomo più evidente del malessere francese è dato dalle periodiche esplosioni di protesta. I due più recenti episodi (le sommosse urbane con incendi dello scorso autunno e la protesta studentesca contro il Contratto di Primo Impiego di questa primavera) sembrano avere poco in comune. Ma il loro comune denominatore è rappresentato da gioventù, disoccupazione ed incertezza sul futuro, oltre ad un soffocante paternalismo di stato.
Prendiamo, ad esempio, il desiderabile obiettivo della stabilità occupazionale, perseguita dai governi francesi nell’unico modo che essi sembrano conoscere, una crescente regolamentazione. Le regole che rendono più difficili i licenziamenti rappresentano un potente disincentivo alle nuove assunzioni. Il risultato pratico è stato l’innalzamento di barriere all’entrata nel mercato del lavoro che sono insormontabili per quanti ne restano fuori. Con il risultato che la disoccupazione è in media del 10 per cento in questo decennio e non è mai scesa sotto l’8 per cento negli ultimi venti anni.

Inoltre, mentre il livello complessivo della disoccupazione è rimasto approssimativamente stabile, la disoccupazione tra i giovani maschi di età compresa tra i 16 ed i 24 anni è balzata dal 15.3 per cento del 1990 al 21.4 per cento del 2005. Ma il benevolo paternalismo francese penalizza i giovani ben oltre gli aspetti legati al solo mercato del lavoro. Sulla carta, la redistribuzione della ricchezza attraverso trasferimenti pubblici ed elevata tassazione, che riflette gli ideali repubblicani di eguaglianza e coesione sociale (fraternità), ha dato buoni risultati. A differenza della maggior parte degli altri paesi Ocse, dove le diseguaglianze di reddito sono aumentate durante gli ultimi trent’anni, in Francia la diseguaglianza ante-imposte è lievemente diminuita, o al più rimasta stabile, dal 1970 al 2000.
Ma questa stabilità dei dati aggregati maschera spostamenti nella distribuzione del reddito che hanno favorito le coorti anagrafiche più anziane. I soggetti prossimi all’età del pensionamento (tra 51 e 65 anni) hanno visto la loro quota di reddito totale crescere di tre punti percentuali negli ultimi dieci anni, mentre i gruppi più giovani, in particolare quelli tra 18 e 25 anni, hanno perso terreno, con la loro quota di reddito totale in calo di cinque punti percentuali. Dal 1995, la povertà relativa è cresciuta fortemente per i giovani adulti, mentre il trend opposto si è manifestato tra i più anziani. Nel 1970, un quarto dei pensionati vivevano sotto la soglia ufficiale di povertà; oggi, quel dato è di solo il 4 per cento.

La disoccupazione è la principale causa di povertà, e la miglior protezione contro essa è il reddito effettivamente guadagnato del quale il generoso welfare francese, con i suoi pagamenti, è un sostituto inadeguato. Inoltre, gli elevati contributi sociali necessari per finanziare questi benefici costituiscono un altro deterrente ad assumere, come il salario minimo, che tende a remunerare il lavoro non qualificato in misura eccedente la sua produttività potenziale. L’effetto combinato di elevata tassazione ed elevato salario minimo (in aumento dal primo luglio del 3.05 per cento, oltre le attese) riduce l’incentivo ad accettare lavori a bassa retribuzione, con il risultato che il 40 per cento di tutti i trasferimenti vanno a soggetti poveri ma idonei al lavoro. La conclusione logica a questa situazione sarebbe di ridurre il grado di sicurezza lavorativa goduto dall’intera forza-lavoro, ma nessun governo francese negli ultimi decenni ha avuto la forza per affrontare l’opposizione (spesso fatta di atti di illegalità che restano impuniti) ad ogni ipotesi di riduzione di privilegi.

Forse l’unica via di uscita all’attuale impasse francese è rappresentata dalla non meno tradizionale via della rivoluzione. Secondo questa opinione, il sistema è irriformabile, ed un vero cambiamento sarà possibile solo dopo il suo collasso finale, forse causato da una crisi
fiscale, poiché la combinazione di trasferimenti finanziati in deficit, bassa crescita, e bassi tassi di partecipazione al mercato del lavoro possono dimostrarsi insostenibili. In fondo, quali che fossero le cause profonde della Rivoluzione Francese del 1789, la determinante
immediata fu una crisi di finanza pubblica. Situazione analoga è quella che caratterizza il nostro Paese, dove i movimenti della sinistra radicale sono portatori di istanze economiche tali da portare il sistema, in caso di loro accoglimento, ad un rapido collasso fiscale, forse proprio in conseguenza di una consapevole strategia politica di rottura. I giovani, francesi e non, riscopriranno fiducia e speranza quando ad essi verrà mostrato un mondo dove equità non significa egualitarismo e redistribuzione incondizionata, ma soprattutto duro lavoro e l’assimilazione del principio per cui si dovrebbe ottenere ciò che ci si merita e meritare ciò che si ottiene.

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