In vista dell’inizio del confronto con le parti sociali e della scrittura della Finanziaria, il governo starebbe lavorando ad un’ipotesi che prevede di convogliare all’Inps, dopo il decollo della riforma della previdenza complementare, una quota rilevante del trattamento di fine rapporto dei lavoratori. L’obiettivo minimo è di trasferire quanto meno la quota di Tfr che risulterà “inoptata” allo scadere del periodo di sei mesi di silenzio-assenso. Per meglio comprendere il meccanismo basti sapere che i lavoratori, con la nuova riforma previdenziale, saranno automaticamente iscritti ad un fondo complementare a meno di esercitare entro sei mesi, in modo esplicito, la volontà di mantenere il proprio Tfr. Si tratta del cosiddetto regime di “opt-out”, che dovrebbe garantire la crescita rapida della massa gestita dalla previdenza complementare. Come noto, attualmente il trattamento di fine rapporto rappresenta una forma molto conveniente di finanziamento aziendale, poiché l’accantonamento delle somme destinate alla liquidazione resta nella disponibilità dell’azienda fino alle dimissioni del lavoratore, e prevede un meccanismo di rivalutazione inferiore ai tassi praticati dagli istituti di credito. Con l’ipotesi di riforma elaborata dal precedente governo, sono previste delle forme di finanziamento agevolato alle imprese per compensare la perdita della disponibilità dei fondi di liquidazione dirottati alla previdenza integrativa.
Se venisse realizzato il progetto dell’attuale governo, verrebbe quindi rimesso in discussione l’accordo tra governo Berlusconi ed Associazione Bancaria Italiana sulle compensazioni alle imprese, che peraltro il ministro del Lavoro, Cesare Damiano aveva già congelato, ritenendolo evidentemente un regalo agli odiati capitalisti.
Considerato che i flussi annuali di tfr sono pari a circa 15 miliardi di euro, ed ipotizzando un inoptato di circa il 25 per cento (cioè le liquidazioni non destinate a previdenza complementare), l’Inps acquisirebbe la disponibilità annua di circa 4 miliardi di euro. Ipotesi che ha già entusiasmato il ministro della Solidarietà sociale, Ferrero, che sostiene che tale bonanza servirebbe ad aumentare la capitalizzazione dell’istituto di previdenza pubblica (risolvendo per via puramente cosmetica il problema del debito previdenziale), oltre che per determinare una massa di risorse da destinare, a suo giudizio, “alla politica della casa”.
Il governo si accingerebbe di fatto a nazionalizzare una parte rilevante delle risorse del sistema previdenziale, portando al più che prevedibile fallimento del “secondo pilastro” della previdenza, oltre a creare gravi problemi finanziari alle imprese, soprattutto a quelle di piccole e medie dimensioni che verrebbero private, oltre che della disponibilità del tfr, anche dell’accesso al credito agevolato compensativo.