Un impegno concreto: più ecotasse per tutti

Il concetto di ecotassa sui prodotti importati è ricomparso alla conferenza dell’Onu sul cambiamento climatico di Nairobi, conclusasi venerdi 17. La ministra francese dell’Ambiente, Nelly Olin, ha annunciato che la Francia applicherà, dal 2012 (sic), una ecotassa sui prodotti industriali importati da paesi che non hanno sottoscritto il Trattato di Kyoto. In astratto, l’ecotassa è un meccanismo interessante per prezzare ed internalizzare i costi ambientali di un prodotto, ma è anche contestata perché vista come una barriera commerciale camuffata. E’ altamente probabile che gli Stati Uniti porterebbero la disputa davanti alla WTO, denunciando la Francia per condotta protezionistica. Resta da chiedersi perché attendere il 2012 per avviare una simile “meritoria” azione di tutela ambientale. Sorge il legittimo sospetto che si tratti dell’ennesima rodomontata francese in chiave antiamericana. Nulla di nuovo sotto il sole parigino. Nel frattempo, poiché le ecotasse sembrano essere divenute l’ultimo gadget di governi e agit-prop il redivivo Al Gore, produttore di un film-documentario sull'”imminente” catastrofe ambientale del pianeta Terra, suggerisce di introdurre una carbon-tax il cui gettito servirebbe a ridurre i contributi sociali sulla busta-paga (il famigerato cuneo fiscale), mantenendo invariata la pressione fiscale complessiva. Ipotesi suggestiva, che tuttavia omette di analizzare da vicino chi sarebbe realmente inciso dall’ecotassa, sopportandone il peso. Se la tassa ricade sulle aziende (come ci si dovrebbe attendere), essa sarebbe verosimilmente efficace nella riduzione delle emissioni inquinanti. Ma se altri paesi dovessero rifiutarsi di adottare la stessa misura fiscale, le aziende statunitensi a maggiori emissioni inquinanti si troverebbero in condizioni di svantaggio competitivo rispetto ai concorrenti esteri, e sarebbero costrette a delocalizzare. Gli Stati Uniti darebbero in outsourcing il proprio inquinamento ma anche i propri posti di lavoro, sacrificando un congruo numero di colletti blu, che di solito si trovano proprio nelle aziende a maggiore emissione di CO2. Secondo la tradizionale analisi dei beni pubblici internazionali, ciascun paese rifiuterà di limitare le proprie emissioni a meno che la restrizione non venga contestualmente applicata dai principali paesi produttori di emissioni inquinanti. Secondo alcuni, tuttavia, questa interpretazione trascura il fatto che gli elettori potrebbero avere una funzione di utilità che non punta necessariamente alla massimizzazione del proprio reddito, bensì a quella del proprio benessere complessivo. Potendo votare liberamente e secondo coscienza, ed all’ampliarsi della scala dell’issue su cui ci si esprime, ritenendo il proprio voto come non determinante per gli esiti elettorali, gli elettori tenderebbero a votare “secondo coscienza”, e non necessariamente secondo il portafogli. Da una simile interpretazione deriva che i bastioni del global warming non possono che essere gli stati autoritari e le dittature. Si attendono evidenze empiriche al riguardo.

Ma abbandoniamo i massimi sistemi, e scendiamo nel sottoscala italiano. Qui il concetto di ecotassa è stato rapidamente declinato in farsa. Alla presentazione della legge Finanziaria, il governo aveva previsto l’esenzione per ben cinque anni (troppi, data l’evoluzione tecnologica) dal pagamento del bollo per le auto a minor impatto inquinante (euro 4), finanziato dalla rimodulazione del bollo, penalizzando i veicoli più imquinanti. Un sistema stranamente coerente di incentivi e sanzioni, nel quale si iscriveva anche il superbollo per i veicoli di peso superiore a 2600 chilogrammi e con non più di sette posti omologati. Come scrive Marzio Galeotti su lavoce.info, la ratio di questa penalizzazione dei veicoli pesanti (ed ingombranti), poteva essere individuata nel tentativo di compensare un’esternalità negativa, riconducibile al consumo della strada e alla ridotta sicurezza/visibilità di passanti e guidatori di altri mezzi. Le successive modifiche al provvedimento hanno stravolto l’impostazione originaria, perdendo per strada anche la sola parvenza di un’imposizione fiscale mirata alla riduzione delle emissioni inquinanti. Scrive al riguardo Galeotti:

Il nuovo criterio, commisurato alla potenza, rappresenta essenzialmente un doppione rispetto a quello del primo regime, basato sull’inquinamento dei mezzi, essendo la potenza strettamente correlata alle emissioni prodotte dai motori. L’introduzione di una soglia introduce un doppio binario, per cui lo stesso mezzo Euro 0 (molto inquinante) o Euro 4 (pochissimo inquinante) pagherà somme differenti se all’interno di ciascuna categoria sarà sopra o sotto i 100 kw di potenza. Questo fatto contribuisce alla sindrome del tartassato di cui soffrono molti automobilisti italici.
Mentre la precedente soglia per la maggiorazione del bollo era facilmente comprensibile e compresa, l’attuale non sembra altrettanto motivabile sulla base di considerazioni come la lotta all’inquinamento.

Infatti. Questo è stato un caso di scuola di come la logica dell’ecotassa finisca con l’essere piegata a considerazioni ideologiche, di tassazione patrimoniale impropria, come quella che colpisce i mezzi euro 4 (non inquinanti) di potenza superiore ai 100 kw, inclusi quelli di ridotto ingombro, quindi del tutto privi di esternalità ambientali negative. Il tutto aggiungendo che la tassazione differenziale, in questo caso, risponde ad una pura logica di reperimento della copertura dei maggiori sgravi promessi agli ultrasettantacinquenni a basso reddito.

Tax and spend, come sempre accade quando c’è di mezzo il governo Prodi e la sua missione salvifica.

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