Repetita iuvant

“In Italia l’aggiustamento è interamente legato a nuove tasse, con nessun serio tentativo* di tagliare la spesa”. E’ quanto si legge nell’Economic Outlook dell’Ocse in merito alle modalità con cui l’Italia punta a riaggiustare i conti pubblici nel 2007.
Secondo l’ Organizzazione, la Finanziaria per il prossimo anno è troppo imperniata intorno all’aumento dell’imposizione fiscale, “che avrà un effetto depressivo sulla crescita dei consumi”.

Nelle considerazioni introduttive sull’Italia, l’Ocse sottolinea che il consolidamento fiscale per il 2007 “si appoggia, per la maggior parte, su attesi aumenti dei ricavi, che potrebbero aumentare i disincentivi al lavoro ed agli investimenti”. Per questo motivo, prosegue il rapporto, “il contenimento della spesa è quindi necessario, soprattutto nel campo delle pensioni, del pubblico impiego, delle amministrazioni locali e della sanità, come indicato nei piani di medio termine del Governo”.
Il rapporto precisa quindi che

circa un terzo della crescita è ottenuta tramite il trasferimento del Tfr, nonostante su questa misura debba ancora decidere l’Eurostat. Circa metà nasce dall’aumento delle entrate fiscali collegate all’evasione, mentre le entrate nette legate all’aumento dell’imposizione ammontano ad una piccola parte, visto che la crescita della tassazione è compensata da tagli negli oneri sulla sicurezza sociale”.

Qui gli estensori del rapporto mostrano di non aver compreso che il taglio dei trasferimenti centrali ai comuni si tradurrà, con elevata probabilità, in un aumento della pressione fiscale, stante l’incapacità degli enti locali a tagliare la spesa corrente e/o procedere a dismissioni del patrimonio, municipalizzate incluse.

La posizione dell’Ocse in materia di valutazione della pressione fiscale netta è stata forse stata condizionata dai wishful thinking di Tommaso Foglia-Di-Fico Padoa-Schioppa, che ancora quest’oggi si sforzava di convincersi che i maggiori poteri impositivi degli enti locali “non si tradurranno necessariamente in un incremento della pressione fiscale bensì in una maggiore loro responsabilizzazione”. Cosa che probabilmente sarebbe stata vera in ipotesi di cessione agli enti locali medesimi di quota delle risorse fiscali (Irpef, Ires, Iva) generate sul loro territorio, al netto di meccanismi solidaristici tra le regioni.

Riguardo l’andamento dei prezzi, “per mantenere l’inflazione sotto controllo – suggerisce l’Ocse – sarà importante completare le annunciate riforme del mercato dei prodotti”, mentre una fissazione dei salari “più decentralizzata potrebbe aiutare ulteriormente il recupero delle quote di competitività perse nel passato“.

Ciò rappresenta il suggerimento, per nulla velato, a passare ad un profondo ripensamento del sistema di contrattazione collettiva, in cui il peso del contratto nazionale si riduca alla fissazione di pochi princìpi di base, rinviando la determinazione dei contenuti economici alla contrattazione territoriale, settoriale ed aziendale. Una rivoluzione copernicana che implicherebbe la trasformazione del modello di relazioni industriali del nostro paese da conflittuale a cooperativo, come già efficacemente illustrato da Pietro Ichino nel suo libro “A che cosa serve il sindacato?“.

Attendiamo l’inevitabile rotta di collisione tra sinistra radicale e sedicenti liberalizzatori, che oggi paiono albergare soprattutto tra le fila della Margherita, come dimostra la presa di posizione di oggi di Lamberto Dini, che pare avere delle Sacre Scritture molto diverse da quelle di alcui suoi colleghi di maggioranza:

“I colleghi dell’estrema sinistra dicono che quello che conta è il programma, io ribatto che quello che conta è il documento di programmazione economica finanziaria, approvato dal Parlamento a larga maggioranza, comprese le forze della sinistra. La legge finanziaria tiene poco conto di quelle che erano le linee direttrici delle riforme strutturali che il Paese deve affrontare. La composizione della manovra è molto centrata sulle entrate e poco sulle riduzioni di spesa e questo ha portato a critiche anche da parte nostra. Io sono parte di una maggioranza che vuole che si effettuino quelle riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno, per modernizzarlo e per renderlo più competitivo e quindi far ricrescere l’economia”.

Auguri senatore, ne avrà bisogno. Ci dimostri che il suo non è l’ennesimo ruggito del topo.

*Aggiornamento: mosso a compassione dalla più che probabile telefonata di doglianza del governo italiano il capo economista dell’Ocse, Jean-Philippe Cotis, rettifica la frase sull’assenza di qualsivoglia serio tentativo di tagliare la spesa in un più neutro

“In Italia il consolidamento fiscale è principalmente legato a maggiori tassi e servono più sforzi per la riduzione della spesa”.

In precedenza, l’euro-ragioniere unionista Almunia si era già prodotto nella sua specialità, l’euromarchetta:

“La nostra previsione è al di sotto del 3%, al 2,9% per il 2007. Rimaniamo fermi alle previsioni presentate qualche settimana fa. So che ci sono altre istituzioni, siamo diversi, capita. Le maggiori entrate fiscali non vanno usate per abbassare le tasse, ma per tagliare il deficit, sempre.

L’economia non è una scienza esatta, del resto.

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