Oracoli, cassandre e tromboni

Un anno fa, il 30 gennaio 2006, sul sito de lavoce.info, compariva un articolo a firma del professor Nouriel Roubini, docente di Economics and International Business alla Stern School of Business della New York University, in cui l’autore vaticinava l’assai tangibile rischio di una più o meno imminente deriva argentina per l’Italia. Posizione legittima, se solo fosse stata supportata da argomentazioni altrettanto robuste. Invece, Roubini (piuttosto irritato per essere stato strapazzato in modo assai poco urbano qualche giorno prima da Giulio Tremonti a Davos) arrivava a ipotizzare la probabile uscita dell’Italia dall’euro, definendo il Bel Paese addirittura affetto da stagdeflazione, cioè da stagnazione (verissimo) e deflazione (ma quando mai?).

Il rischio dell’argentinizzazione dell’italia (cambio fisso e perdita di competitività, crescenti deficit di bilancio pubblico e delle partite correnti) esisteva ed esiste tuttora, in linea teorica, ma non propriamente nei termini e con il timing previsto da Roubini. Ma un anno fa era assai facile trovare ampia risonanza e consenso mediatici con argomentazioni strillate come questa, come dimostra anche la piccola canea di tifosi prodiani che si scatenarono sul blog in inglese di Roubini, affermando che il destino argentino dell’Italia era cosa già compiuta, visto il ruolo giocato dall’allora governo italiano di “fanfaroni mafiosi“. Inutilmente (come potete leggere nei commenti del 31 gennaio 2006 al post su lavoce) cercammo di convincere il professor Roubini della frettolosità e superficialità della sua analisi; la sua risposta non rispose alcunché alle nostre obiezioni di merito e metodo, corredate da valutazioni di mercato dei capitali che quotidianamente ci scorrevano sotto gli occhi, e non indicavano nessun collasso italiano, né a breve né a medio termine.

Roubini preferì liquidare con tautologie le nostre obiezioni affermando che “è probabile che i mercati stiano prezzando una probabilità di un “bail-out” (salvataggio, ndPh.) dell’Italia da parte della Bce o da parte degli altri membri dell’Unione monetaria”, oltre al fatto che “ci sono ancora buone probabilità che tali riforme possano avvenire, specialmente con un governo di tipo diverso”. Il tutto nel tripudio dei cocoriti progressisti che sventolavano l’Economist manco fosse il libretto rosso di Mao.

Come sono andate le cose, lo abbiamo visto: la ripresa congiunturale globale e quella tedesca in particolare hanno riportato anche il relitto italiano in linea di galleggiamento; le nostre entrate fiscali sono fortemente aumentate, data anche la loro alta elasticità alla crescita del prodotto interno lordo, causata da aliquote nominali elevate; il rischio-Argentina è uscito dai radar, l’Economist anche (un vero peccato, perché sarebbe ancora attuale), le riforme strutturali italiane pure, checché ne dicano i trombettieri di regime, e si attende serenamente il prossimo rallentamento congiunturale aumentando in modo irresponsabile la pressione fiscale senza liberalizzare alcunché.

Ma Roubini non ha perso il vizio ed il gusto di fare previsioni spericolate. E’ di ieri la prima stima del prodotto interno lordo statunitense del quarto trimestre 2006, che ha mostrato una confortante crescita congiunturale (trimestre su trimestre, annualizzata) del 3.5 per cento, migliore del più 2 per cento del terzo trimestre. Certo, i problemi restano: la recessione del settore immobiliare e la crisi dei costruttori automobilistici statunitensi in primo luogo. Ma leggete cosa aveva vaticinato Roubini sul suo blog, il non lontano 28 novembre scorso:

After correctly forecasting Q2 and Q3 growth I have been arguing for a while that the U.S. economic slowdown will worsen in Q4 and 2007 and lead to a recession by, at the latest, Q2 of 2007. (…) I have [instead] been arguing for months now that Q4 growth will be even lower than Q3 at between 0% and 1%. I am now comfortable to forecast that Q4 GDP growth will be closer to 0% than 1%.

Non male come scostamento: il 3.5 per cento realizzato, lo 0-e-rotti per cento previsto. Una vera cassandra, questo Roubini, anche perché non ci è dato sapere quali modelli previsivi egli utilizzi. Quelli che usiamo noi quotidianamente non davano un simile esito apocalittico, neppure sotto le peggiori ipotesi di scenario.

Non fraintendeteci: il professor Roubini è un economista di grande valore e reputazione internazionale. Non è certo un giovanotto presuntuoso ed arrogante che discetta di tutto lo scibile umano e di economia senza conoscere la differenza che passa tra salary ed income.

Ma è utile sapere, soprattutto per i non addetti ai lavori, che l’economia, oltre ad essere triste (ma a noi non pare proprio che lo sia), è anche una scienza terribilmente inesatta, e gli ipse dixit nel suo ambito servono ancor meno che altrove.

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