Si dice che gli italiani abbiano una formidabile capacità di risparmio. Non è mai stato realmente indagato se tale propensione fosse autentica o piuttosto non fosse l’immagine speculare dello stock di debito pubblico cumulato negli ultimi trent’anni. Quello che possiamo affermare con certezza, tuttavia, è che almeno un italiano pare avere un profilo coerente con l’iconografia classica dell’italiano-formica. Questo italiano è il presidente del Senato, Franco Marini: almeno secondo l’ultima inchiesta de l’Espresso su “svendopoli”, l’alienazione a prezzi di favore del patrimonio immobiliare di assicurazioni ed enti previdenziali. Il presidente del Senato ha stipulato il rogito il 23 aprile scorso. Un milione di euro per aggiudicarsi la casa assegnata alla moglie dall’Inpdai in via Lima: due livelli per 14 vani nel cuore dei Parioli. Secondo l’Espresso, quell’immobile varrebbe comunque il doppio di quanto pagato dalla seconda carica dello Stato.
Franco Marini, signore delle tessere margheritine (defunti inclusi, ricordate?), è dunque riuscito, in una vita di duro lavoro come sindacalista, a produrre capacità di spesa per l’importo di un milione di euro, due miliardi del vecchio conio. Non sappiamo se l’acquisto è avvenuto attraverso un mutuo e/o con il concorso finanziario della moglie, ma si tratta inequivocabilmente di un eccellente risultato, qualcosa di davvero tangibile da lasciare ai propri figli. I sindacalisti della Cisl sembrano poi effettivamente una spanna sopra il resto del mondo, quanto a capacità di risparmio e fiuto per gli affari immobiliari: l’attuale segretario generale Raffaele Bonanni, ad esempio, ha acquistato (l’Espresso usa il participio conquistato) nel 2005 un grande appartamento dell’Inps al sesto piano in via del Perugino, nel cuore del quartiere Flaminio: otto vani a 201 mila euro. Con quella cifra in zona si compra solo un garage, il commento del settimanale.
Altrettanto istruttiva la storia di Pierfurby Casini, che dimostra che tutti gli inquilini degli enti previdenziali ed assicurativi sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri; quella del clan (in senso buono, s’intende) Mastella, di Walter “I-have-a-dream” Veltroni, che in effetti è riuscito a conquistare un appartamento da sogno di 190 metri quadri a due passi da via Veneto a meno di 2000 euro al metro quadro, grazie alla svendita del patrimonio immobiliare pubblico attuata con la cartolarizzazione Scip, realizzata da Giulio Tremonti durante il governo Berlusconi.
Menzione d’onore, in questa classifica bipartisan, per la comunista Maura Cossutta, figlia dell’ultimo grande stalinista del Bel Paese, lei stessa parlamentare dei Comunisti Italiani, che pagava un affitto di 1 milione e 50 mila lire ed ha comprato nel 2004 quattro camere, due bagni e balconi a due passi da San Pietro a 165 mila euro.
E’ una storia istruttiva, quella di affittopoli: dopo due lustri, si è trasformata in svendopoli, e il privilegio è stato reso permanente.
Ma ampliando la riflessione sulla nostra classe politica e la sua funzione, ci torna in mente anche l’articolo di ieri di Lucia Annunziata, su La Stampa. In queste settimane, alcune velenose polemiche si stanno abbattendo sul capo del presidente della Camera e della sua consorte, accusati (con “metodi maoisti”, secondo l’Annunziata) di intelligenza col nemico di classe per la loro assidua frequentazione dei salotti romani, popolati anche da incalliti destrorsi, nani e ballerine assai poco progressisti. Per l’Annunziata (la strapagata watchdog del potere italiano che nel 1996 sul palco con Romano Prodi e Massimo D’Alema festeggiava la vittoria elettorale ulivista con i lucciconi agli occhi), i Bertinotti sarebbero vittime di una cospirazione per azzoppare sul nascere la “Cosa rossa”, quel rassemblement duro e puro di rifondaroli, comunisti italiani, verdi e Sinistra democratica, che potrebbe rappresentare la spina nel fianco sinistro del Partito democratico, frenandone (par di capire, nei desiderata della Annunziata) la corsa al centro dell’elettorato.
I Berti-nights, per Annunziata, lungi dall’essere quello che sono, cioè dei borghesi membri di una satrapica nomenklatura tutta populismo, dacia e salotti, sarebbero invece autentici democratici, che hanno portato
il sereno ecumenismo dei preti laici, intendendo le istituzioni come lo stesso rispettoso sorriso di meraviglia per attricette e disoccupati, diventando essi stessi alla fine un’intollerabile contaminazione: la dimostrazione vivente che il rispetto esiste in qualunque luogo.
Si, concordiamo: i Bertinotti sono solo due tra gli innumerevoli rappresentanti di una casta realmente democratica, dedita al bene delle masse, alla quale si possono perdonare piccole umane debolezze come il cachemire, la frequentazione di palazzinari e generone romano, e l’acquisto a prezzi di saldo di splendide abitazioni dentro le quali si compie (non dimenticatelo mai) l’elaborazione teorico-culturale per guidare il popolo italiano verso la felicità. Niente antipolitica, please, siamo italiani.