La cifra politica dell’Assemblea costituente del neonato Partito Democratico sta tutta nello scambio di battute a distanza tra Oliviero Diliberto e Walter Veltroni. Con il primo che sentenzia, inquietamente spavaldo:
“Il punto più duro da sciogliere tra noi e il Pd nel governo è il fatto che sembra vogliano fare a meno di noi, ma l’aritmetica è più forte della volontà politica e i numeri non li hanno. Molti auguri sinceri a Veltroni e al PD, sono nostri alleati ma vorrei segnalare che siccome anche il sondaggio più lussuoso dà al PD il 30% per arrivare al 50% ha bisogno della sinistra”
Ed il secondo che scandisce, dopo aver analizzato i principali sistemi elettorali europei,
“In Europa, al fine di salvaguardare la stabilità dei governi, i sistemi proporzionali hanno sempre una correzione in senso maggioritario. Credo che ne dovremo tenere conto, tanto più in ragione della frammentata situazione elettorale del nostro paese.”
La dialettica politica del resto della legislatura verterà pressoché esclusivamente su questo tema. Se Veltroni si limiterà a rieditare la coalizione prodiana, cedendo al richiamo tribale dell’antiberlusconismo ed al riflesso pavloviano del “nessun nemico a sinistra”, avrà fallito il suo appuntamento con la storia, e sarà ricordato come l’ennesimo “eunuco riformatore” dell’italica corte dei miracoli. Se, per contro, tenterà realmente di modernizzare il sistema politico italiano, e di conseguenza superare l’assurdo arcaismo di un paese in cui esistono ancora forze che si definiscono “comuniste” (e che rappresentano la vera forza ultraconservatrice e reazionaria che sta definitivamente affossando l’economia italiana), anche lavorando a riforme istituzionali che depotenzino proporzionalismo e parlamentarismo, i due totem cultural-costituzionali all’origine del trasformismo italiano, potrà innescare una reazione a catena anche nel campo del centrodestra, e auspicabilmente porre fine al pluriennale e frusto teatrino speculare del “partito-unico-si-ma-solo-se-nel-Ppe“. Soprattutto per questo motivo, il referendum elettorale appare come un interessante strumento per bypassare la paralisi dei veti incrociati. Sempre sperando di arrivarci, ovviamente, e di farlo senza il paese in ginocchio per le azioni ed omissioni di politica economica dell’attuale maggioranza.
L’Italia ha bisogno di decisioni nette e drastiche in campo economico, non di disquisizioni filosofiche sul sesso degli angeli. Mai come ora c’è bisogno di una vera discontinuità. Se siamo esterofili e vagamente provinciali chiamiamola pure rupture, l’importante è che si verifichi. Se ci dimostreremo degli inguaribili illusi faremo pubblica ammenda, e non ci resterà che votare con i piedi.