Intervistato da Time sulla figura di Vladimir Putin ed il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, Henry Kissinger tratteggia un ritratto del leader del Cremlino e fornisce alcune indicazioni per la gestione delle relazioni tra Stati Uniti e Russia, improntate ai canoni classici del realismo: la tutela degli interessi nazionali, il rifiuto di utilizzare la prescrittività morale e moralistica nelle relazioni internazionali, pur non rinunciando a perseguire quella che Kissinger definisce “inclinazione missionaria” della politica estera statunitense, cioè il suo idealismo. Per Kissinger il fatto che il 64 per cento della popolazione abbia votato per Putin non equivale ad affermare che la Russia sia una dittatura. Sembra un paradosso, magari guidato dal bizzarro senso dell’umorismo di cui Kissinger ama talvolta dar prova, ma il concetto viene meglio precisato quando l’ex Segretario di Stato di Nixon sostiene che obiettivo di Putin è l’accumulazione dello stock di potere necessario per consolidare la reputazione internazionale della Russia e la sua sicurezza, minata dalle conseguenze del crollo dell’Unione Sovietica.
In questo senso, Putin ritiene necessario comprimere le libertà civili dei gruppi di opposizione nella misura in cui tali gruppi tendono ad indebolire il suo disegno di consolidamento. Peraltro, ciò sembra avvenire in modo diseguale e non sistematico: secondo Kissinger, ad esempio, è vero che la televisione è controllata, ma la stampa continuerebbe a godere di significativa libertà di espressione, forse per la assai differente capacità di condizionamento della pubblica opinione che i due media posseggono, come ben sappiamo noi italiani.
Per Kissinger, il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Russia deve essere la partnership geostrategica, che possa gestire problemi capitali quali sicurezza, stabilizzazione del quadro mediorientale, un approccio globale alla non-proliferazione nucleare, l’ascesa della Cina. Per Kissinger, l’imperialismo sovietico non esiste e non esisterà più, non ci sono risorse sufficienti a consentire un espansionismo aggressivo, neppure nell’era del petrolio a 100 dollari e del prezzo delle commodities alle stelle. Ciò a cui Putin mira è fare presto, per “mettere in sicurezza” una Russia che ha problemi e vulnerabilità gravi e strutturali, soprattutto demografici, abitualmente sottovalutati nelle analisi. Si pensi alla incredibilmente ridotta speranza di vita (comparata con gli standard occidentali) ed al calo demografico, destinato a spopolare entro pochi decenni intere regioni della Federazione. Il tutto in un paese di sterminati ed instabili confini, a diretto contatto con il ribollire dell’aggressività islamica e della sua inarrestabile demografia.
Ecco perché Putin vuole mettere le energie della società al servizio dello stato, per evitare un’implosione che avrebbe ripercussioni esiziali per la Russia. Ma anche per gli interessi occidentali al mantenimento della stabilità in una macro-regione che si estende dallo Stretto di Bering all’Europa, passando per il Mar del Giappone. Qualcosa su cui riflettere, prima di lanciarsi nell’abituale miope moralismo idealistico, tanto retoricamente sterile e declamatorio quanto foriero di tensioni ove applicato alla gestione delle relazioni internazionali.
“America must not confuse foreign policy towards Russia with seeking to prescribe historical processes. It is important to get our priorities right. Restructuring the domestic situation of Russia cannot be achieved by American designs — particularly in the short term.” (Henry Kissinger)