Il programma economico del PdL

Il programma del Popolo della Libertà è articolato in sette “missioni”, ulteriormente suddivise in punti. Riguardo gli aspetti più propriamente economici la prima missione, “rilanciare lo sviluppo”, prevede la detassazione di straordinari, premi ed incentivi legati ad incrementi di produttività. Si tratta di proposte ancora troppo generiche per poter essere compiutamente valutate. Se il principio è condivisibile, restano problemi di attuazione pratica. Va definito il concetto di detassazione, in primo luogo: è totale o parziale? Non si dovrebbe poi dimenticare che non tutti i lavoratori dipendenti percepiscono straordinari: si pensi a quadri e dirigenti. In condizioni di debolezza congiunturale è poi verosimile attendersi un minore ricorso agli straordinari, che perderebbero così la funzione di leva strategica per l’aumento del potere d’acquisto dopo le imposte. Inoltre, la detassazione integrale degli straordinari implica il rischio che la creazione di nuova occupazione subisca un rallentamento, e che le imprese finiscano col contrabbandare aumenti retributivi imputandoli a straordinari. Ciò finirebbe col sottrarre materia imponibile.

I rimborsi Iva dovrebbero avvenire “in tempi commerciali”, stimati in 60-90 giorni, e il relativo debito d’imposta sorgerebbe solo dopo l’incasso della fattura. Un provvedimento mirato a non creare inutili tensioni di tesoreria per le imprese, soprattutto quelle di minori dimensioni, che spesso sono costrette a ricorrere all’oneroso credito bancario per far fronte agli adempimenti fiscali. L’eliminazione progressiva dell’Irap è un vecchio refrain, data dalla legislatura 2001-2006, dove nulla venne concretamente attuato, anche a causa del forte calo del gettito fiscale conseguente al rallentamento economico. Condizioni che stanno ripetendosi ora, dando al programma del PdL una spiacevole impressione di déjà vu e déjà lu. A tale impressione sono riconducibili la riproposizione della Legge di Programma per le grandi opere e gli ormai mitologici rigassificatori che sono diventati, con gli asili-nido, ospiti fissi dei programmi elettorali. La novità di questa edizione è il piano di “rilancio del trasporto aereo” (?) e di due-diconsi-due hub, Fiumicino e Malpensa, per non scontentare nessuno tra Lega ed An. Pare di capire che l’Italia, prossima a perdere per fallimento la propria compagnia di bandiera (evento che non turba i nostri sonni, peraltro), abbia deciso di porsi all’avanguardia europea come unico paese dotato di ben due hub. Auguri, soprattutto ai contribuenti: il virus del nazionalismo economico un po’ straccione continua a piagare questo paese.

Anche il punto sulle liberalizzazioni è la riproposizione di antiche ed irrealizzate ambizioni. Partiamo dalle municipalizzate, se siamo capaci: saremo ben oltre la metà dell’opera. Sul sostegno al Made in Italy fatto di dazi e quote alle importazioni, soprattutto asiatiche, stendiamo un pietoso velo. Se Hillary e Obama se la prendono col NAFTA, imputandogli ottusamente le peggiori nequizie, perché noi italiani dovremmo essere da meno? Gli aspetti economici della seconda missione si sostanziano nel sostegno ai giovani ed alle famiglie, e prevedono la totale eliminazione dell’Ici senza oneri per i comuni, che otterrebbero compensazioni, verosimilmente attraverso un aumento della compartecipazione al gettito dei tributi maggiori come Iva, Ires ed Ire. Prevista, analogamente al programma del Pd (e viceversa), la tassazione separata dei redditi da locazione. L’introduzione del quoziente familiare è indeterminata nelle modalità di applicazione, in termini ad esempio di coefficienti individuali. Come abbiamo già argomentato, questa tassazione rischia di disincentivare ulteriormente il già basso tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro. Preferibile una gestione della fiscalità familiare attraverso il credito d’imposta a favore della donna o, meglio ancora, della ridotta tassazione del coniuge con il reddito inferiore. Nel programma non vi è poi alcun riferimento alla dinamica della spesa pensionistica, dopo che il governo Prodi ha immolato ad essa 9 miliardi di euro, che non saranno quindi disponibili per la riqualificazione della spesa sociale. Che al PdL stia bene così, malgrado i tanti strepiti all’epoca della riforma dello scalone-Maroni? O forse è meglio non spaventare gli elettori, preferendo promettere fiumi di caffelatte e montagne di marzapane? Anche qui, chi può dirlo.

Le altre proposte sono un tripudio di spesa pubblica, dal “piano casa” agli immancabili asili aziendali e sociali, ai sussidi sui libri di testo, alla stabilizzazione del cinque per mille, al piano straordinario per i non autosufficienti (altro leit-motiv delle campagne elettorali, in caso esista ancora qualcuno disposto a crederci), addirittura all’utilizzo di Poste SpA per “servizi sociali a domicilio”: e così, mentre (anche per disposizioni europee) ancora si discute su definizione ed ampiezza del “servizio universale” di recapito ed entità delle compensazioni ad esso relative, in Italia finiremmo col dare nuovo e più pregnante significato al concetto di servizio universale, con consegna a domicilio di pane e latte per opera del postino. Wunderbar.

Anche per scuola, università e ricerca è prevista una grandinata di spese e crediti d’imposta, per ogni gusto. Senza indicazione esplicita di forme di copertura, s’intende. Parte della quale verrà forse dalla settima missione, il “piano straordinario della finanza pubblica“, che appare come l’architrave dell’intero programma. Dopo aver premesso, quasi a mo’ di clausola di salvaguardia, che l’attuazione del manifesto elettorale è subordinata a tre vincoli stringenti (congiuntura economica internazionale, vincoli europei e condizioni del bilancio pubblico italiano), il programma si sofferma su alcune considerazioni di gestione dello stato patrimoniale italiano, e ritiene (analogamente al programma del Pd, o viceversa) che l’Italia abbia un imponente attivo patrimoniale sottoutilizzato, stimato in 1800 miliardi di euro a fronte di 1500 miliardi di stock di debito pubblico. Gli estensori del programma ipotizzano di collocare presso i risparmiatori (mercati permettendo) parte dell’attivo patrimoniale pubblico fatto di immobili, azioni, aziende, crediti, diritti di concessione. Anche questa soluzione non è propriamente inedita. Riguardo crediti ed immobili, ricordate le cartolarizzazioni? Sulle aziende, appare difficile collocare quelle nelle condizioni di Alitalia, ma pensiamo positivo. E già che ci siamo mettiamo ulteriori paletti al compratore, in nome dell’italianità. E Trenitalia? Anche quella rientra nella quantificazione dell’attivo patrimoniale dismissibile?

Soprattutto, il programma suggerisce correttamente che gran parte di tale attivo si trova nella disponibilità degli enti locali, che sarebbero anche generatori della maggior parte della crescita nella spesa discrezionale. Non è difficile prevedere forti turbolenze (e conseguente paralisi) tra Roma e periferia in caso di direttive cogenti di dismissione di tale patrimonio provenienti dal centro. In termini numerici, l’obiettivo principale del programma è la riduzione della pressione fiscale sotto il 40 per cento, cioè di oltre tre punti di pil. In assenza di ulteriori dettagli sulle azioni di contenimento della spesa e sulla loro quantificazione, nulla si può dire riguardo tale obiettivo. Così come nulla viene del resto indicato riguardo le riforme dei meccanismi di spesa, senza le quali le dismissioni patrimoniali sarebbero sprecate.

Nel complesso, si tratta di un programma piuttosto deludente, in larga parte ripreso da quello del 2001-2006, a sua volta largamente inattuato. All’epoca, e malgrado la forte maggioranza parlamentare, il governo Berlusconi non riuscì a realizzare il programma a causa di contrasti interni alla coalizione oltre che del forte rallentamento economico (che si sta riproducendo oggi). Anni dopo, quella coalizione riedita sé stessa con la sola eccezione dell’Udc. Il risultato è un mix di statalismo e “sussidiarietà sussidiata” che farebbe colare a picco anche bilanci pubblici in forte surplus. Le affinità elettive tra Tremonti ed An hanno partorito un programma che neppure la Dc degli anni ruggenti si sarebbe sognata. L’unico auspicio è che anche questo manifesto sia destinato alla soffitta, ad elezioni concluse, e che Silvio Berlusconi “faccia sintesi”, ma soprattutto dimostri con le azioni di essere un liberale ed un liberista. Qualunque cosa ormai ciò significhi in questo paese di trasformismi, anche linguistici.

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Il confronto tra i programmi di Pd e PdL, con le stime de IlSole24Ore per spesa e copertura. Quest’ultima è largamente insufficiente alla bisogna, sennò che campagna elettorale sarebbe?  

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