Su l’Occidentale Piercamillo Falasca (editor di Epistemes e fellow dell’Istituto Bruno Leoni) spiega perché, per far fronte al dissesto finanziario della Capitale, sarebbe preferibile perseguire una strategia di dismissioni di asset patrimoniali, anziché abbandonarsi a strepiti (più o meno fondati) finalizzati ad ottenere erogazioni emergenziali dal governo centrale.
Scrive Falasca:
Nel caso di Roma, la scelta migliore (e, forse, unica) per riportare il debito ad un livello accettabile sarebbe proprio la rinuncia ad essere una holding finanziaria. Sta crescendo il partito di chi chiede la vendita del pacchetto di controllo di Acea, la municipalizzata dell’elettricità e del gas che vale i due terzi delle partecipazioni del Campidoglio: agli attuali valori di mercato, la cessione frutterebbe alle casse dell’ente circa 1,3 miliardi di euro. La rinuncia ai dividendi dell’azienda sarebbe in buona parte compensata dall’abbattimento degli interessi passivi. In più, l’uscita del Comune dalla gestione di tali servizi contribuirebbe ad aprire il mercato. Due piccioni con una fava.
Pare, per contro, che il governo abbia deciso di mancare questa opportunità, decidendo di erogare quello che somiglia molto all’ennesimo prestito-ponte di questa stagione italiana:
Più di un commentatore ha evocato la vicenda Alitalia: i contribuenti si trovano costretti ad erogare dei prestiti-ponte, che presto si trasformano in contributi straordinari o aumenti di capitale (temiamo che ciò avvenga anche nel caso della Capitale), a causa del rinvio di decisioni dolorose e necessarie.
Con il mezzo miliardo concesso a Roma, il Governo “rompe” il patto di stabilità che impone a tutti i Comuni italiani. In giro per la penisola, migliaia di sindaci, assessori e funzionari comunali si barcamenano quotidianamente alla ricerca di nuovi fondi, di spese da tagliare, di immobili da vendere, di attività da cedere. Nessuno sogna un tale intervento “dall’alto”.
Per contro, la dismissione di attivi patrimoniali come l’Acea (ma non solo) servirebbe ad abbattere lo stock di debito, avviando un processo di “restringimento” dello stato patrimoniale dei comuni che non può che giovare alla trasparenza amministrativa, alle tasche dei contribuenti ed alla creazione di un mercato.
La funzione del settore pubblico deve essere quella di fissare le regole del gioco, non di gestire aziende di servizi perseguendo obiettivi ed utilità non necessariamente coincidenti con l’interesse generale. In questa circostanza il governo non ha avuto il “coraggio” politico di usare la Capitale come battistrada di una grande liberalizzazione, anche per le (ampiamente attese) resistenze di Alemanno e di An. Il sindaco di Roma ha riconsegnato le sue due auto blu: non serviranno a risolvere il distress finanziario del Campidoglio, ma a mantenere alto il tasso di populismo. Almeno fin quando i cittadini-contribuenti chiederanno fatti, non demagogia. Attendiamo il governo all’opera sulla liberalizzazione del servizi pubblici locali per condurre in porto il progetto che nella scorsa legislatura fu perseguito senza fortuna da Linda Lanzillotta.
L’articolo prende le mosse dal Focus che Piercamillo ha realizzato per IBL, e che è liberamente scaricabile qui.