E così, l’uomo che gode del 68 per cento di consensi tra i propri concittadini, ha subito una non irrilevante sconfitta parlamentare, per decisiva mano del proprio partito. E’ infatti accaduto che il Senato degli Stati Uniti ha bocciato il progetto di legge, sostenuto dalla Casa Bianca, che mirava a consentire ai giudici fallimentari di ridurre il capitale dovuto dai mutuatari sulla prima casa. Il provvedimento ha ottenuto solo 45 voti a favore, mentre tutti i Repubblicani e ben dodici tra i Democratici hanno votato contro. Le banche si erano da subito opposte alla misura, affermando che essa avrebbe rappresentato una evidente sconfitta della certezza degli accordi contrattuali privati tra soggetti adulti (apparentemente) consenzienti, oltre a minacciare alcune unintended consequences quali l’aumento del costo dei mutui, causato dalla maggiore incertezza degli esiti contrattuali.
Che si legga l’episodio come l’ennesima conferma dello smisurato potere lobbystico e di ricatto del sistema bancario americano, che avrebbe ormai sequestrato la democrazia di quel paese, oppure come la riaffermazione del primato dei contratti privati sugli esperimenti di ingegneria sociale di cui Obama viene ormai quotidianamente accusato (non sempre con cognizione di causa), resta l’esito di un presidente molto popolare ma non onnipotente. E non si tratta solo di pesi e contrappesi istituzionali, quanto di un fenomeno diverso: il sistema partitico americano è da sempre assai poco avvezzo alla disciplina interna, a causa della sua struttura organizzativa piuttosto lasca, e della rappresentanza entro i singoli partiti di differenti constituencies economiche, geografiche, sociali. Difficile pensare ad Obama come ad una sorta di dittatore illuminato, ai cui ordini il partito si genuflette, quando ad esempio al Senato esiste una rappresentanza di Blue Dogs Democrats, conservatori fiscali e sostenitori del libero mercato (quello vero, non la porcheria sviluppatasi nell’ultimo decennio), che all’occorrenza sono sempre disposti a votare contro il proprio presidente, con buona pace dell’ormai prossimo raggiungimento della maggioranza blindata di sessanta senatori, in caso di certificazione della vittoria di Al Franken in Minnesota, al termine di una manfrina infinita, e dopo il cambio di campo del Repubblicano Arlen Specter. Le maggioranze non si raggiungono con l’aritmetica, ma con le idee ed il consenso, che nasce dalla dialettica.
La situazione americana, fatte le debite proporzioni, assomiglia a quella italiana. Anche da noi esiste un capo dell’esecutivo molto popolare nei sondaggi (anzi, di più, boom!), una maggioranza partisan che numericamente pare invincibile, un’opposizione patetica e ridotta ai minimi termini, ormai prossima ad essere dichiarata specie protetta dal WWF. Stravincere, e stravinceremo. Ma proprio in questa grande abbuffata di “successi” politici, e nel gigantismo che sembra aver colto l’italiano Pdl, sembrano annidarsi anche le radici della vulnerabilità. Un partito che supera una determinata massa critica non è né può essere dominato da una forma di pensiero unico. A meno di perseguire scientemente, da parte dal vertice, una velleitaria strategia di omologazione della propria classe dirigente fatta cooptando e “formando” yesmen e yesgirls. Ma anche questo approccio ha dei vistosi limiti, soprattutto ricordando che l’Italia, più degli Stati Uniti, ha una disomogeneità economica, territoriale e sociale che tende a creare constituencies le più eterogenee.
Il Pdl sembra sempre più ricordare la Balena Bianca democristiana: dentro tutti, dai moderati ai liberali, dai para-fascisti ai clericali. Ma all’epoca occorreva difendersi dal comunismo, e ci si turava montanellianamente il naso. Oggi da chi dovremmo difenderci, per teorizzare il mantenimento dello status quo in un paese pietrificato e declinante, che appare vivo e vibrante solo nei servizi del Tg5? Qualcuno ha ancora paura del Botteghino? E non è che si possa ogni volta demonizzare i dissenzienti interni, accusandoli di criptocomunismo ed intelligenza col nemico, non trovate?
I prossimi mesi, vista l’evoluzione della situazione economica, ci diranno se anche il Messia italiano, dopo quello a stelle e strisce, sarà destinato a subire qualche rovescio di troppo, per opera del proprio stesso schieramento.
«The presidency is extraordinarily powerful, but we are just part of a much broader tapestry of American life and there are a lot of different power centers» – Barack Obama